A Venezia ci sono tante chiese, molte delle quali custodi di opere artistiche di grande valore, ma non tutte sono frequentate dai fedeli perchè i veneziani (parrocchiani e volontari) sono in calo. Per gestire una chiesa, al di là della funzione liturgica, c’è bisogno di una costante manutenzione conservativa e di fondi e questo non avviene nel periodo recente. Di conseguenza alcune chiese, già sconsacrate, ospitano mostre e concerti di musica classica. Al momento la situazione è assai limitata. Bisogna però trovare soluzioni alternative destinate ad altri scopi, certamente in ambito culturale e caritativo. E’ un pò lo specchio amministrativo del Patriarcato che cerca di risparmiare sui costi gestionali del suo patrimonio religioso. Di questa situazione ha parlato il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia, intervenuto all’incontro dei Comitati privati per la salvaguardia, svoltosi a palazzo Ducale, ha espresso gratitudine per quanto fatto dai Comitati in questi ultimi cinquant’anni, ma ha osservato come, nel tempo, alcune caratteristiche di fondo della città storica siano mutate: la presenza turistica, in particolare, si è grandemente sviluppata, a fronte di un calo importante del numero di residenti. “Queste modificazioni incidono, ha sottolineato mons. Moraglia, anche sul tessuto e sulla vita pastorale della Chiesa di Venezia e, di conseguenza, anche sulla fruizione e salvaguardia dell’enorme patrimonio architettonico e artistico rappresentato soprattutto dalle cento e più chiese presenti nella città d’acqua”. Di questo riferisce il settimanale cattolico “Gente Veneta”. Il Patriarca si è soffermato sulla necessità “di riflettere su una razionalizzazione del loro ruolo liturgico e pastorale, spesso anche a fronte dell’innegabile flessione demografica. Sarà necessario individuare gli edifici che, effettivamente, non rispondono più a specifici bisogni pastorali ed è compito della Chiesa locale individuare soluzioni e proposte per rendere “utili” alla stessa collettività quei luoghi, senza far perdere mai la loro dimensione simbolica in nome di un funzionalismo o “polivalenza” che non solo li impoverisce ma addirittura li snatura”. Questo nella consapevolezza che “non ci può essere restauro di una chiesa senza (prima) una comunità “viva” che se ne faccia carico, che ne custodisca la bellezza e la valorizzi nel culto e non solo. Un edificio senza vita non è mai tutelato e valorizzato ed è destinato all’abbandono. Come lo è un edificio che non ha, alle spalle, una comunità reale che se ne fa carico”. Per il presule si fa più pressante l’esigenza di riconsiderare la destinazione d’uso di alcuni edifici sacri. Ma perché questo avvenga, nell’interesse di tutti, sarebbe importante che, accanto al mecenatismo di tanti – a partire dai Comitati privati – ci fosse un significativo ritorno della presenza pubblica. “Le necessità del patrimonio ecclesiastico risultano – ha concluso mons. Moraglia – sono ingenti e i contributi, specie quelli pubblici, sono assai ridotti. Anche alcuni strumenti fiscali spesso non sono applicabili al patrimonio ecclesiastico che, seppur di fruizione pubblica, viene considerato proprietà “privata” e quindi escluso da benefici fiscali che molto gioverebbero ai fini della sua corretta salvaguardia”. Al momento non si conosce il numero reale delle chiese (impoverite) che la Curia patriarcale ha individuato: si tratta, è stato osservato, di un programma che andrà ulteriormente valutato, anche con il contributo dei parroci, e che troverà attuazione in modo graduale e senza fretta decisionale.