Di Niccolò Copernico (foto,statua/monumento) ora conosciamo proprio tutto; ci sono conferme che è stato personaggio geniale, rivoluzionario, sorprendente scienziato, astronomo e cosmologo, capace di mettere il sole al centro dell’Universo in un’epoca in cui solo “un pazzo” – così lo definì Lutero – poteva mettere in dubbio un sistema astronomico geocentrico. E c’è un Copernico studioso poliedrico e sorprendente che, dopo aver frequentato per cinque anni le lezioni di matematica e astronomia all’università di Cracovia, si trasferì a Bologna nel 1496 per addottorarsi in diritto e guadagnarsi nel frattempo anche un diploma in artibus a Padova, per poi fare esperienza alla Sapienza di Roma come professor mathematum. All’Università di Padova Copernico tornò fra il 1501 e il 1503 come studente di medicina. Nel frattempo riuscì anche ad addottorarsi in diritto canonico a Ferrara. Copernico, nominato canonico della Chiesa cattolica grazie all’influenza dello zio che lo aveva adottato, il vescovo della Varmia Łukasz Watzenrode, a 28 anni si era iscritto alla scuola di medicina di Padova non tanto per vocazione quanto probabilmente per compiacere i suoi canonici, “desiderosi di avere un medico, per dir così, in casa” scriveva Giulio Righini nel 1932. Non si è purtroppo in grado di affermare se effettivamente Copernico abbia poi conseguito il diploma in medicina, ma di certo questo non gli sarebbe stato necessario per praticarne l’arte una volta tornato in patria. Su Copernico ha dato un’ampia relazione sul giornale Il Bo dell’ateneo di Padova, Chiara Mezzalira. Tanto la portata del suo pensiero nell’astronomia fu rivoluzionaria quanto la sua adesione alle teorie mediche del tempo fu convenzionale e, diremmo oggi, antiscientifica. A onor del vero, in quel tempo all’Università di Padova non erano i professori più brillanti a insegnare chirurgia e medicina, sia pratica che teorica. Ad emergere nel corpo docente erano Alessandro Benedetti e Gabriele Zerbi, autori entrambi nel 1502 di due trattati di anatomia, anche se, come segnala un saggio di Loris Premuda, “una cattedra ad hoc per l’anatomia ancora non esisteva. Ufficialmente non se ne sentiva il bisogno: i legami con la teoria umorista, antianatomica e ancora imperante, ne consideravano di secondaria importanza l’insegnamento. Quella cattedra sorgerà autonoma appena con Fabrizio d’Acquapendente”. Quando sui banchi sedeva Copernico, le lezioni di medicina teorica erano un puro esercizio didattico-scolastico, improntate alla lettura di Avicenna, Ippocrate o Galeno. La pratica, con l’affermarsi delle teorie sull’importanza della conoscenza del corpo umano per mezzo della dissezione, andava scuotendo le fondamenta dell’edificio medico, ma era ancora profondamente e indissolubilmente legata a insegnamenti di maggior prestigio come quello dell’astrologia, la cui cattedra padovana in quegli anni era affidata a Benedetto Tiriaca. Anche il corpo umano, in quanto microcosmo, era infatti considerato sede di conflitti tra energie occulte e soggetto all’influsso astrale. Per questo motivo, il medico e l’alchemico, a differenza dei cosmologi che non potevano intervenire sul macrocosmo, avevano secondo le convinzioni dell’epoca la possibilità di isolare, modulare e applicare elementi che influissero sulla salute del corpo e della mente umana. Era compagno di lezione di Copernico – con una certa sicurezza – Gerolamo Fracastoro, che probabilmente iniziava in quegli anni a teorizzare i principi del contagio dovuto a seminaria morbi, atomi piccolissimi e invisibili portatori di malattia, capaci di moltiplicarsi nell’organismo e di spostarsi in altri corpi attraverso la respirazione o altre forme di contatto. Copernico invece, lontano dal rivoluzionare anche la materia medica, rimaneva un medico galenista. Di lui ci sono rimaste ricette e conosciamo molti dei suoi pazienti, per lo più personaggi di alto lignaggio e l’alto clero polacco, ma anche povera gente. Curava spesso coliche e podagra al vescovo Moritz Ferber, fu medico di fiducia del vescovo Dantiscus, guarì da una violenta febbre terzana il vescovo di Kulm, Tiedemann Giese. Curò il mal franzoso, la sifilide, al fratello Andrea e al vescovo Fabiano di Lossainen. Sempre ha annotato sul Bo Chiara Mezzalira. Copernico per curare e arrivare a delle gurigioni ricorreva al mondo vegetale, animale e minerale, ricadendo completamente in usanze e credenze tardo-medievali. Nel suo ricettario c’è il dittamo, pianta della medicina mitologica, la corteccia di limone usata come essiccante, il sandalo come antisettico, lo zucchero contro l’acrimonia degli umori, lo zafferano come emetico. L’unicorno, cioè il dente del narvalo, era il rimedio contro tutti i veleni, l’epilessia e le convulsioni. Sfruttava il potere curativo delle gemme, prescriveva giacinto rosso e zaffiri, curava morbi con smeraldi e utilizzava le proprietà dei rubini nella prevenzione e nella cura della peste. Ciò che sconcerta e allo stesso tempo affascina è il modo in cui lo scienziato rivoluzionario e il medico-alchimista siano convissuti apparentemente senza contraddizioni nello studioso polacco. Copernico tornò in Polonia da uomo di cultura universale, matematico, giurista, umanista, astronomo. E medico, all’occorrenza.