Comincia marzo. La primavera è vicina. Nella campagna veneta e sui monti un tempo erano doverosi i saluti e i rituali di gioia per questa tappa importante dell’anno, ma rimane poco delle grandi feste del Calendimarzo di cui c’è memoria nella storia. Le calende erano nel calendario romano il primo giorno di ciascun mese, sacro a Giunone. Quel giorno i pontefici annunciavano presso la Curia Calabra la data delle feste mobili del mese seguente e quando i debitori avrebbero dovuto pagare i loro debiti elencati nel calendarium, il libro dei conti. Il primo marzo, il primo giorno del calendario di Roma antica, si accendeva il fuoco nel tempio di Vesta, veniva acceso il nuovo fuoco nei focolari domestici, si rinnovavano i rami di lauro alla Reggia. I riti della purificazione e della propiziazione erano il fulcro di ogni inizio stagionale. L’antica atmosfera si può ritrovare nelle usanze ancora esistenti che si ripetono magari con altri contenuti. Il Calendimarzo è il giorno in cui ci si lascia alle spalle il lungo e gelido inverno e si dà il benvenuto alla bella stagione. Una tradizione che richiama antiche ricorrenze pagane legate al rinascere della natura. A questo erano legati anche i temi delle nozze e quello dei buoni auspici e abbondanza per le messi. Nelle campagne a marzo si aspettava la fine dell’inverno cantando il “bater marso” quasi per scacciare più in fretta la fredda stagione. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi andavano in giro per le strade e le piazze cantando le canzoni che annunciavano la primavera. Erano feste praticate in quasi tutto il Veneto, particolarmente nella fascia montana ove poteva attardarsi anche all’ultimo di marzo a causa del freddo e della neve, nel Trentino, in Friuli e in altre località del nord Italia. Quella del “ciamà l’erba” è una tradizione ancora ben diffusa in tutta la Valtellina, dove ai primi di marzo i bambini festanti percorrono i prati e producono gran rumore con i campanacci per risvegliare l’erba ed invitarla a ricrescere dopo il lungo torpore invernale. E’ soprattutto in Val Bregaglia, ai confini con la Svizzera, e oltre il confine in Val Engadina che si svolgono ancora questi riti, ma anche in Veneto negli ultimi anni alcuni gruppi culturali cercano di far rivivere queste feste per risvegliare la terra dal letargo. Nel padovano, nella zona dei Colli Euganei e in alcune località della provincia di Treviso e di Venezia si usa ancora accendere i fuochi la sera girando di corsa nel paese facendo un grande frastuono per far tornare in fretta la primavera, battendo con un bastone pentole vecchie e coperchi per le strade. A Grantorto, Vigodarzere, Recoaro, Martellago, Mira, Noale e Badoere il “ciamar marso” e il “brusa marso” è ancora una tradizione che viene riproposta con balli e canti della cultura popolare. Ad Arcole (Verona) questa festa sempre va rinnovandosi, con musica e sfilate in costume (foto. Nel vicentino si usava bruciare i vecchi resti di vegetazione rimasti sui campi non consumati dall’inverno e si scandivano cantilene in cui si facevano burlescamente proposte di fidanzamento intonando antichi canti; anche nel veronese si usava “maridar le putele”: i giovani andavano in cerca delle ragazze di loro gradimento. Quest’anno il primo di marzo è anche l’inizio della Quaresima. Da un lato è penitenza, con l’imposizione delle Ceneri che rammentano l’impegno religioso da seguire per arrivare alla Santa Pasqua; dall’altro è ancora festa: è la Festa della Renga che in varie parti del Veneto è una tradizione irrinunciabile. Si mangia l’aringa inaugurando i 40 giorni di magro della Quaresima. Il menù a volte si arricchisce con il baccalà, la lingua salmistrata e soprattutto con i “bigoi in salsa”. (odm)