Ha inverni lunghi e freddi perchè è vicino al Circolo polare artico e ha un porto importante soprattutto per l’esportazione di minerali ferrosi: è Luleå, una città costiera sul golfo di Botnia, nella Svezia settentrionale, con 46 mila abitanti. Negli anni Settanta del Novecento vede nascere la Luleå University of Technology (foto), istituzione che conta circa 15.000 studenti e 1.700 dipendenti. Tra questi almeno otto italiani, dei quali cinque laureati all’università di Padova. Di questo ha scritto un servizio sul giornale Il Bo dell’ateneo padovano Monica Panetto. Ed ha citato Alberto Vomiero il quale è professore ordinario di Fisica sperimentale nel Department of Engineering Sciences and Mathematics, dove inizia a lavorare nel 2014. Alle spalle una laurea in Fisica a Padova nel 1999 con Paolo Mazzoldi, un dottorato in Ingegneria elettronica all’università di Trento nel 2003 e un impiego come ricercatore al Consiglio nazionale delle ricerche di Brescia. In seguito, grazie a un finanziamento nell’ambito delle azioni Marie Skłodowska-Curie, si sposta a Varennes in Canada nel Centre Énergie Matériaux Télécommunications dell’Institut national de la recherche scientifique. A Luleå da quasi tre anni dirige un gruppo di 18 persone. “Ci occupiamo di nanomateriali per celle solari e celle elettrochimiche per produzione di idrogeno (per le auto ibride ad esempio). L’idea è di realizzare un prodotto che riesca ad andare sul mercato, puntando non tanto a produrre celle più efficienti, ma celle più economiche in grado di competere con il mercato cinese”. Per portare avanti le sue ricerche Vomiero ha ottenuto un finanziamento di quattro milioni di euro. “Il tema della sostenibilità ambientale in Svezia è molto sentito – sottolinea il docente – L’obiettivo è di potenziare il settore delle energie rinnovabili e questo spinge il governo a investire”. Nel gruppo degli italiani Vomiero non è il solo a occuparsi di questo ambito di ricerca. Agatino Rizzo ad esempio, che proviene dall’università di Catania ed è docente al Department of Civil, Environmental and Natural Resources Engineering di Luleå, si occupa di sviluppo sostenibile urbano e coordina il Master of Science in Climate Sensitive Urban Planning and Building. Dal 2014, inoltre, è stato scelto con altri tre colleghi a rappresentare la Svezia in seno all’Association of European Schools of Planning (Aesop). “La Luleå University of Technology – ha spiegato Vomiero – è ben attrezzata per lo sviluppo d’impresa. Per volontà del rettore è stata avviata una società privata, partecipata dall’università, allo scopo di fare ricerca brevettuale e sostenere i professori a sviluppare brevetti e a venderli”. Trattandosi di una zona mineraria, spiega il docente, lo scopo dell’ateneo è anche di formare ingegneri che possano poi trovare impiego nella regione baltica. Vomiero ha citato nel suo racconto di studenti indiani, iraniani, pakistani, irakeni e molti cinesi che frequentano l’ateneo. Egli ritiene che circa un terzo provengano dall’estero. Anche tra i docenti esiste la stessa multiculturalità: oltre agli italiani lavorano nell’ateneo indiani, cinesi, francesi, spagnoli, russi, ucraini, pakistani, giapponesi. L’informalità caratterizza i rapporti a tutti i livelli, tra i docenti e con gli studenti, e l’approccio docente-discente è meno gerarchico rispetto alle consuetudini italiane. L’apparato burocratico è snello e funzionale (un aspetto, questo, che riflette il sistema svedese in generale) e la semplicità delle procedure facilita il lavoro. “Anche il sistema di progressione di carriera è più semplice rispetto a quanto siamo abituati. Una volta assunta una posizione, è possibile avanzare sulla base dei risultati prodotti senza necessariamente dover partecipare a un concorso pubblico”. Pur con un contratto di sei anni (rinnovabile) nell’ateneo di Luleå, il giovane docente in futuro guarda all’Italia dove ora vivono la moglie e i figli. Come molti Alberto Vomiero è un “pendolare”: affronta otto ore di volo per raggiungere l’Italia e altrettante per tornare in Svezia, beneficiando della concessione dell’università svedese di lavorare una settimana in sede e una in Italia. Del suo gruppo di lavoro fanno parte Isabella Concina, laureata in Chimica a Padova e ora ricercatrice a Luleå, Francesco Enrichi, fisico padovano che lavora nell’università svedese grazie a una borsa Marie Curie, e Federica Rigoni che proviene dall’università di Brescia e ha vinto una borsa post-doc finanziata dalla fondazione svedese Carl Trygger. Tra gli italiani, di formazione padovana sono anche Andrea Toffolo, ordinario del Department of Engineering Sciences and Mathematics di Luleå, e Damiano Varagnolo, ricercatore del Department of Computer Science, Electrical and Space Engineering. Raffaello Mazzaro, invece, formatosi all’Università di Bologna, inizierà la sua attività di ricerca a Luleå tra qualche mese grazie a una borsa post-doc finanziata dalle fondazioni Kempe e Knut & Alice Wallenberg. “La scuola italiana – secondo Vomiero – rimane una scuola di eccellenza. Gli studenti sono molto preparati e rigorosi e all’estero sanno farsi apprezzare per una solida preparazione di base. In generale, in ambito accademico nazionale, gli standard qualitativi richiesti sono molto elevati”. Il rischio, come evidenzia anche una recente indagine coordinata dalla sociologa dell’università di Padova Chantal Saint-Blancat, è che l’impiego in un’organizzazione più snella ed efficiente, una maggior facilità nell’accesso ai finanziamenti e la possibilità di una più veloce progressione di carriera, possano tramutare una scelta temporanea e normale all’inizio del percorso accademico in una decisione definitiva.