Ci sono aree in Italia in cui, a causa dei cambiamenti climatici e di pratiche agronomiche forzate, la percentuale di sostanza organica, contenuta nel terreno, è scesa al 2%, soglia per la quale si può iniziare a parlare di deserto; secondo il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), le aree a rischio sono il 70% in Sicilia, il 58% in Molise, il 57% in Puglia, il 55% in Basilicata, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%: ad evidenziare il preoccupante dato, che indica il 20% del territorio in pericolo di desertificazione, è l’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), annunciando la sperimentazione avviata in località Fiorentina a San Donà di Piave, nel veneziano, dove in un podere monitorato sono state distribuite le matrici organiche, preliminari alla preparazione del letto di semina della soia; l’appezzamento è stato suddiviso in varie parcelle, su cui sono stati distribuiti quantitativi differenti di compost e digestato secco, allo scopo di verificare la risposta del terreno, una volta avviata la coltivazione. Si tratta di un programma sperimentale, che vede la collaborazione fra Consorzio di bonifica Veneto Orientale ed Università di Padova (Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse Naturali e Ambiente) per verificare come l’impiego di pratiche agronomiche meno impattanti sui suoli possa rinvigorirne il contenuto di sostanza organica, che anche in vaste aree del Veneto Orientale è sceso a livelli preoccupanti. “La qualità ambientale è uno dei temi dell’azione dei Consorzi di bonifica – commenta Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI – Per questo, abbiamo il dovere di impegnarci per invertire una tendenza preoccupante ed evitarne le conseguenze. Va sottolineato che un terreno ricco di sostanza organica è un suolo naturalmente fertile, che trattiene meglio l’umidità e ha minor necessità di irrigazione”. La desertificazione, causata da condizioni climatiche ma anche antropiche, rappresenta l’ultimo stadio di degrado del suolo con conseguente perdita di produttività biologica e geologica, nonché annullamento dei servizi ecosistemici forniti dal terreno, causandone alterazioni difficilmente reversibili, che comportano l’impossibilità di gestire economicamente attività di agricoltura, silvicoltura e zootecnia.
“Un terreno vivo drena meglio l’acqua, aumentando la sicurezza idrogeologica – aggiunge Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – Per questo, l’utilizzo di ammendanti naturali è una scelta virtuosa non solo in termini di qualità e biodiversità, ma come importante tassello per incrementare, assieme alle nuove infrastrutture idriche di cui si stanno aprendo i cantieri, la resilienza del territorio alle conseguenze dei cambiamenti climatici. In Italia va superata la cultura dell’emergenza, che costa mediamente 7 miliardi all’anno in ristoro dei danni”. “Questo approccio – conclude Giorgio Piazza, Presidente del Consorzio di bonifica Veneto Orientale – è l’unico possibile per poter rispondere in modo economicamente ed ambientalmente sostenibile alle sfide, che l’evidente mutamento climatico ci sta ponendo.” (ph arch.Globalist.it.).
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