Ripetitori di telefonia mobile e tumore. A porre nuovi interrogativi uno studio sui topi dal quale emerge un rischio anche entro soglie considerate “sicure”. A lanciare l’allarme uno studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna, attraverso il Centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni, il più vasto mai realizzato in materia. Di questo ha dedicato un servizio giornalistico Repubblica che è stato proposto anche da Adico, l’associazione difesa consumatori. In concreto, è stato reso noto che sono state esaminate esposizioni alle radiofrequenze mille volte inferiori rispetto a quelle utilizzate in un’analisi precedente del National Toxicologic Program, e sono stati individuati gli stessi tipi di cancro. Scoprendo così aumenti statisticamente significativi nell’incidenza di tumori rari delle cellule nervose del cuore, nei ratti maschi del gruppo esposto all’intensità di campo più alta (50 V/m). Inoltre, gli studiosi italiani hanno scoperto un aumento dell’incidenza di altre lesioni: l’iperplasia delle cellule di Schwann sia nei ratti maschi che femmine e gliomi maligni (tumori del cervello) nei ratti femmine alla dose più eleva. Una ricerca torna a far parlare di un argomento che ha più volte fatto discutere: i cellulari e le onde radio attraverso i quali si propagano i segnali possono essere cancerogeni? Tutti i livelli di esposizione usati in questo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Enviromental Research, sono inferiori al limite statunitense Fcc per la massima esposizione concessa per la popolazione. In tutto 2.448 ratti sono stati esposti a radiazioni Gsm da 1.8 GHz, quelle delle antenne della telefonia mobile, per 19 ore al giorno, dalla vita prenatale fino alla morte spontanea. Sono state usate inoltre dosi simili a quelle che ritroviamo nel nostro ambiente di vita e di lavoro, di 5, 25 e 50 V/m. Questi livelli sono stati studiati per mimare l’esposizione umana generata da ripetitori, e sono molto più basse rispetto a quelle usate nello studio statunitense. “Il nostro studio conferma e rafforza i risultati del National Toxicologic Program americano. Non può infatti essere dovuta al caso l’osservazione di un aumento dello stesso tipo di tumori, peraltro rari, a migliaia di chilometri di distanza, in ratti dello stesso ceppo trattati con le stesse radiofrequenze – ha spiegato Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Area Ricerca dell’Istituto Ramazzini e leader dello studio – . Sulla base dei risultati comuni, riteniamo che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) debba rivedere la classificazione delle radiofrequenze, finora ritenute possibili cancerogeni, per definirle probabili cancerogeni. E’ molto importante sottolineare il fatto che studi sulla popolazione hanno trovato lo stesso tipo di tumori delle cellule di Schwann, le cellule di rivestimento dei nervi, nei forti utilizzatori di telefoni cellulari – aggiunge Belpoggi. – Sebbene l’evidenza sia quella di un agente cancerogeno di bassa potenza, il numero di esposti è di miliardi di persone, e quindi si tratta di un enorme problema di salute pubblica, dato che molte migliaia potrebbero essere le persone suscettibili a danni biologici da radiofrequenze”.