“Carlo raccontava storie continuamente”. Lo sceneggiatore Franco Bernini ricorda Mazzacurati (foto), il regista padovano scomparso nel gennaio 2014, partendo da una passione comune, da un talento condiviso, da quella capacità di raccontare che li rendeva affini e affiatati. E lo ha fatto sul giornale Il Bo dell’ateneopatavino. A ognuno il proprio mestiere, certamente quello dello sceneggiatore ha un sapore romantico e antico, porta con sé i pensieri lunghi, la pazienza e un po’ di magia, perché una storia nasce prima di tutto da una intuizione, da un’idea che chiede di essere riconosciuta per poi crescere piano piano, attraversando diverse fasi di un percorso che non si esaurisce con la stesura della sceneggiatura, “perché anche sul set e al montaggio si lavora alla storia e si riscrive”, spiega Bernini, collaboratore di Mazzacurati sin dal principio, dai tempi di Notte italiana, film d’esordio del regista padovano. Era il 1987. Fu il primo atto di un sodalizio che portò alla realizzazione di altri fortunati film, da Il prete bello a Un’altra vita. “Per Un’altra vita ero partito da una giovane donna con un dente rotto, avevo in testa solo quell’immagine”, spiega Bernini, recentemente ospite al cinema MultiAstra di Padova con Doriana Leondeff, David di Donatello per Pane e Tulipani di Silvio Soldini, e sceneggiatrice, tra gli altri, de La giusta distanza, film di Mazzacurati del 2007, insieme a Marco Pettenello, terzo protagonista dell’open day che ha anticipato i temi della seconda edizione del Master in Sceneggiatura dell’università di Padova. Ricordando la lezione di Mazzacurati, il pubblico viene invitato a partecipare scrivendo brevi storie, in sole tre righe, idee da condividere, approfondire e sviluppare: spunta allora la vicenda di una musicista dotata di superpoteri, di un vedovo, di un cinese, di un farfallone, di un gruppo di studenti di cinema, di una casa che si trasforma, storie di fallimenti e rinascite, omicidi e solitudine, innamoramenti e immortalità. Il pubblico propone e gli sceneggiatori commentano, discutono, valutano la forza di ogni singola idea. “Bisogna essere abili e riuscire a rendere una storia originale, unica”, per evitare di sentirsi rispondere “già visto oppure non ci credo”. È un gioco e un’occasione per omaggiare un regista che era, prima di tutto, raffinato e intenso narratore del Veneto e della sua gente, di storie piccole ma profondissime raccontate con cuore, cura e pazienza. Perché in realtà, conclude Bernini, pur partendo da un’idea, “la scrittura ha bisogno di tanto tempo per crescere ed essere ripensata”. Da zero a tutto. Da un’idea a una sceneggiatura, fino ad arrivare al film. “Tutto parte da una scintilla. Spesso a guidarti è una suggestione silente, che a un certo punto matura – spiega Doriana Leondeff –, ma ogni film segue un percorso diverso. Per La giusta distanza, per esempio, si trattò di una sorta di aggregazione: Carlo voleva tornare a girare sul Delta del Po, un luogo a lui caro dove già aveva ambientato altri suoi film, e aveva voglia di raccontare il giornalismo di provincia. Inoltre gli echi dell’attentato delle Torri gemelle si sentivano ancora, si viveva in un clima di sospetto generale”, che nel film si traduce nell’infondata accusa di omicidio che inchioda ingiustamente il tunisino Hassan. “Per costruire e rendere credibile quella storia – aggiunge Pettenello – io e Carlo intervistammo molti giornalisti delle testate locali, dal Mattino di Padova al Resto del Carlino. Anche lo spunto per La lingua del Santo ci venne leggendo una notizia di cronaca locale. A dire il vero, le idee venivano quasi sempre a Carlo…”.