“Lì sei una scienziata, punto. Poco importa che tu sia uomo o donna. Sei quello che sei in grado di fare e se non sei capace è finita”. Claudia Agnini, ricercatrice del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova, prende parte due volte alle crociere scientifiche organizzate nell’ambito dell’International Ocean Discovery Program, un progetto di perforazioni oceaniche che nel 2018 compie 50 anni. Ha fatto il punto Monica Panetto su Bo Live, il giornale web dell’ateneo. La seconda volta la rotta è il mare di Tasmania. È il 2017. Tutti parlano di uno studio che ipotizza la presenza di un ottavo continente, Zelandia. Fino a 90 milioni di anni fa Australia e Nuova Zelanda erano unite, poi si è creata una dorsale oceanica e le due placche si sono separate. Nonostante sia sommersa per più del 90%, sotto il livello del mare si trova una grande piattaforma continentale. Recarsi in quelle zone, in quel momento, si rivela molto importante dal punto di vista scientifico. Claudia Agnini porta con sé la sua esperienza di micropaleontologa e per due mesi è parte di un equipaggio di 130 persone, 30 scienziati affiancati da tecnici di laboratorio, che lavorano fianco a fianco ininterrottamente. La nave su cui si imbarca è l’unica in tutto il mondo capace di perforare sedimenti sotto a una colonna d’acqua di 8.000 metri. Un video è stato eseguito (riprese e montaggio) da Elisa Speronello. Tornando ad Agnini, nel servizio su Bo Live, è detto che a lei tocca il turno di notte, compresi il sabato e la domenica. Inizia a lavorare a mezzanotte e finisce a mezzogiorno. Non tutti ce la fanno a sostenere questi ritmi. Il suo compito, insieme a un’altra ricercatrice, è di fare le analisi preliminari dei sedimenti che vengono recuperati, descriverne la composizione, stabilire a che periodo appartengano. Questo serve a guidare la perforazione e recuperare i sedimenti migliori. Un lavoro, questo, che non si interrompe mai e prosegue 24 ore su 24. Ogni giorno Claudia si alza alle dieci di sera, fa colazione alle undici. Poi raggiunge la collega del turno precedente per avere notizie su quanto è stato fatto in sua assenza e per ricevere indicazioni su come proseguire il lavoro. Sono programmate anche riunioni collettive in cui tutti ascoltano gli aggiornamenti tecnici sulla perforazione. E si compilano molti report. Si scrive tutto ciò che si fa. Ogni giorno, tra le cinque e le sei del mattino, Claudia incontra alcuni altri componenti dell’equipaggio e si ferma qualche istante a osservare l’alba bellissima, come quella sul mare di Tasmania. Dopo aver pranzato a mezzogiorno, alla fine del turno, esce all’aperto qualsiasi sia il tempo. Oltre ai ricercatori e ai tecnici, a bordo lavorano anche un’insegnante e un cameraman che si occupano di divulgazione scientifica nel corso della missione e permettono di portare avanti dei progetti con le scuole. Claudia, che partecipa a una di queste attività, deve fare lo sforzo di alzarsi alle cinque del pomeriggio – nel bel mezzo della “sua” notte – per poter comunicare con una scolaresca di Trieste. “Mi sento molto privilegiata – ha raccontato – per aver potuto partecipare per ben due volte a queste spedizioni, anche se in maniera un po’ scriteriata, dato che soffro di mal di mare”. Una doppia sfida la definisce, essendo consapevole di dover lavorare sotto stress e con il timore di non essere al 100% dal punto di vista fisico. La spedizione, peraltro, si rivela alquanto tormentata dal punto di vista meteorologico. “L’esperienza è grandiosa, perché conosci scienziati che hanno un bagaglio di competenze straordinarie e puoi lavorarci insieme 24 ore al giorno per due mesi. Questo crea anche amicizie importanti, che poi restano per tutta la vita. Ed è ciò che è successo a me”. Nel corso della spedizione del 2017 vengono recuperati cinque chilometri di sedimenti di età diverse e per un paio d’anni i ricercatori a bordo della nave hanno l’esclusiva sullo studio dei campioni raccolti, che possono scegliere in base ai propri interessi. Claudia ora sta studiando l’instaurarsi della calotta antartica, evento occorso a circa 34 milioni di anni fa, e il limite Oligo-Miocene, circa 23 milioni di anni fa, che corrisponde a un evento di ulteriore raffreddamento quando la calotta antartica, inizialmente sviluppatasi solo nella parte orientale, si espande anche nella parte occidentale. (foto Bo Live UniPd).