Strumenti e tecnologie all’avanguardia per capire i processi alla base dell’inquinamento dei fiumi e delle zone umide e valutarne la portata. È ciò che un consorzio di ricerca europeo, coordinato dall’università di Padova, mette a disposizione di istituzioni e privati per far fronte alle problematiche ambientali nei corsi d’acqua dolce. Il progetto Hytech (Hydrodynamic Transport in Ecologically Critical Heterogeneous Interfaces), durato quattro anni e finanziato con quasi quattro milioni di euro dalla Commissione europea, ha dato modo ai ricercatori ci concentrare la loro attenzione sullo studio delle cosiddette “interfaccia”, cioè le zone periferiche di contatto tra l’acqua, la materia inorganica, data da sedimenti e depositi di fondo, e la materia vivente, dalle piante acquatiche, agli anfibi, ai pesci fino ai batteri. Di questo riferisce sul gionale Il Bo dell’ateneo di Padova Monica Panetto. “Sono i punti in cui il fluido entra in contatto con la materia vivente e non vivente – ha detto Andrea Marion, docente del dipartimento di Ingegneria industriale dell’università di Padova e coordinatore del progetto Hytech – e sono i più sensibili e determinanti per l’ecosistema. Sono i luoghi che determinano la qualità dell’ecosistema e la sua capacità di essere sano o, al contrario, di essere messo in crisi e subire stress, perché è lì che avviene la vita ed è lì che l’acqua porta nutrimento (ma anche veleni) alla componente vivente. Nel bene e nel male i processi decisivi per la qualità dell’ambiente avvengono nelle interfaccia”. Un termine, questo, che è diventato la parola chiave dell’intero progetto e che ha dato il titolo anche a un documentario scientifico. Il primo dei risultati ottenuti è stata la formazione di 15 giovani specialisti, attraverso 11 borse di dottorato e quattro post-doc, che ora possiedono competenze atipiche e nuove non generalmente fornite nei classici programmi universitari e per i quali è stato costruito un processo di acquisizione di conoscenze trasversali e interdisciplinari. “L’obiettivo – ha sottolineato Marion – è stato quello di creare una nuova figura di professionisti in grado di guardare con capacità critica all’alterazione dei corsi d’acqua per effetto dell’azione antropica. Da un lato infatti serve capire in che modo e a quale livello l’attività dell’uomo alteri la naturalità dei sistemi, dall’altro come si possano comunque utilizzare i corpi idrici cercando il corretto compromesso tra l’attenzione alla salvaguardia dell’ecosistema del comparto ambientale e gli interessi dell’uomo che utilizza quei corpi idrici per finalità di varia natura”. E le finalità possono essere molteplici: i corsi d’acqua superficiale ricevono gli scarichi ma possono anche avere funzioni ricreative, paesaggistiche, storico-culturali e ambientali con la creazioni di aree in cui la fauna e la flora possano mantenere un proprio equilibrio. Nel corso dei quattro anni di indagine i giovani hanno lavorato a progetti di ricerca che hanno condotto a risultati innovativi, in termini di strumenti, tecnologie e metodi di indagine, capaci di incidere sullo stato dell’arte delle conoscenze nel settore in cui vanno a inserirsi. Un aspetto, questo, che costituisce un secondo contributo importante frutto della collaborazione europea. In alcuni casi si è giunti alla costruzione di veri strumenti di ricerca anche di notevoli dimensioni. Nella sede di Aberdeen, ad esempio, è stato sviluppato un sistema di misura e osservazione mobile delle caratteristiche idrodinamiche della corrente idrica (dalla velocità alle caratteristiche proprie del moto dell’acqua) che permette di misurare in campo, su fiumi reali, ciò che finora era possibile misurare solo in laboratorio. Si tratta, in buona sostanza, di una struttura metallica altamente innovativa che viene montata sul corso d’acqua e tolta dopo aver fatto le misurazioni. All’università di Sheffield è stata costruita una canaletta anulare birotante per l’analisi della dinamica delle particelle. All’università di Padova invece i ricercatori hanno iniziato a verificare l’impiego nei corsi d’acqua naturali di “traccianti intelligenti”. Sono sostanze, queste, che vengono inserite nell’acqua e che, attraverso delle trasformazioni chimiche mediate dal contatto con i batteri presenti nell’acqua, segnalano il modo in cui la sostanza viene trasportata nella corrente idrica, verificando ad esempio se resta in superficie o entra in contatto con la vegetazione o con la fauna acquatica. Sono stati poi sviluppati nuovi pacchetti di calcolo e strumenti applicativi, soprattutto in collaborazione con i partner privati del progetto. Può trattarsi ad esempio di software che, una volta testati definitivamente, saranno immessi sul mercato e resi utilizzabili al pubblico. È possibile, a questo punto, tracciare un bilancio sui livelli di inquinamento dei nostri fiumi e corsi d’acqua dolce? “Una parte del progetto – ha spiegato Marion – è stata dedicata anche a questo aspetto e a valutare come sia stata recepita la direttiva europea quadro sull’acqua (Water Framework Directive) del 23 ottobre 2000 che indicava a tutti i Paesi europei come adoperarsi per la riabilitazione e la messa in qualità dei corpi idrici superficiali come fiumi e aree umide. I risultati dell’indagine hanno messo in rilievo che l’impatto di questa direttiva europea è stato molto positivo, dato che ha creato una sorta di obbligo per molti governi europei a muoversi verso il miglioramento della qualità ambientale. E anche l’Italia ha percorso questa strada. Va detto che il percorso va costantemente aggiornato. Certo in alcune regioni d’Europa permangono ancora ambiti critici aggravati dalla presenza di aree industriali di particolare intensità, con impatti ambientali che solo in parte potevano essere rimediati nell’arco di poco più di un decennio”.