Tra le corsie dell’ospedale di Padova si aggiravano mesi fa due piccoli robot, forse un pò umanoidi, che si intrattenevano con alcuni dei bambini ricoverati. Con loro un gruppo di studenti tra i 16 e i 18 anni e degli educatori. L’ignaro visitatore avrebbe visto i bambini giocare con i robot, rispondere a indovinelli matematici, avrebbe osservato i due robottini esibirsi nel canto e nel ballo, addirittura fare flessioni e sollevare pesi. Dietro alla leggerezza di un sorriso però si nasconde il lavoro di un anno, frutto della collaborazione tra il liceo scientifico “Enrico Fermi” di Padova e il dipartimento di Salute della donna e del bambino dell’ateneo che hanno lavorato al progetto Baby Goldrake. Obiettivo utilizzare i robot in clinica per distrarre con il gioco i bambini in condizioni di disabilità o malattia. Coordinati dalla loro insegnante Carla Gobbo, i ragazzi hanno imparato a programmare il robottino umanoide Nao, rendendolo capace di svolgere attività ludiche con i piccoli pazienti. “Gli studenti – ha spiegato la docente a Monica Panetto del giornale il Bo – hanno cercato di differenziare le proposte di gioco in base all’età: i più piccoli sono attratti dal robot in sé, dai colori, mentre i più grandi hanno pretese maggiori, si aspettano che interagisca, vogliono capire come funziona”. Quest’anno il liceo si è posizionato al primo e al terzo posto nella competizione Zero Robotics, organizzato dalla Nasa, dal Mit di Boston e dall’Agenzia Spaziale Europea, e si è guadagnato due prime posizioni tra le quattro prove previste nella finale al Nao Challenge, un concorso di robotica che si svolge in cinque Paesi europei (Danimarca, Francia, Germania, Italia, Regno Unito) e ha lo scopo di far conoscere le potenzialità sociali della robotica di servizio. Dopo la fase di programmazione in classe, è stata la volta della sperimentazione in clinica. “La riforma La buona scuola – ha spiegato Carla Gobbo – prevede che gli studenti a partire dal terzo anno svolgano un periodo di alternanza scuola-lavoro. E diciassette alunni hanno scelto l’attività in ospedale nell’ambito di questo progetto”. Per circa tre ore, due volte a settimana, da aprile a luglio. “Più volte con i medici Giorgio Perilongo, Liviana Da Dalt e Carlo Moretti abbiamo fatto il punto della situazione e operato qualche scelta perché le cose andassero per il meglio. Sono stati i medici a decidere come e dove far incontrare bambini e studenti. Alla fine due gruppetti di tre ragazzi facevano giocare i bimbi nelle aule di scuola in ospedale e un altro drappelletto andava di stanza in stanza nel reparto di chirurgia pediatrica”. Di volta in volta poi gli educatori dell’associazione Gioco e benessere in pediatria indirizzavano gli studenti sulle attività da svolgere e i ragazzi cercavano di esaudire eventuali richieste provenienti dai piccoli pazienti. I bambini hanno risposto positivamente all’iniziativa, ha aggiunto Carla Gobbo, e sono stati “molto delicati e rispettosi”. E’ ora intendimento è di proseguire con questo tipo di attività, ma non solo. “La seconda fase del progetto, a cui attualmente sta lavorando uno studente del corso di laurea in infermieristica pediatrica dell’università di Padova – ha detto Roberto Mancin, ideatore del progetto Baby Goldrake – prevede di utilizzare il robot come terapia non farmacologica per la gestione dell’ansia del bambino nelle procedure dolorose invasive”. E ancora, sottolinea Gobbo, su idea di Carlo Moretti si sta pensando di utilizzare i robot per insegnare ai bambini più piccoli che soffrono di diabete come fare l’iniezione di insulina quotidiana, gettando in questo modo le basi anche per l’attività futura degli studenti che dovranno programmare Nao in modo specifico a questo scopo. L’ambito clinico, pediatrico in particolare, non è l’unico settore cui si rivolgono gli interessi degli alunni del Fermi. Tre di loro hanno interamente progettato e costruito PieRRE, un prototipo di robot da salvataggio pensato per portare aiuto a persone in difficoltà a causa di impedimenti motori o di un ambiente ostile. Gli studenti hanno pensato a componenti stampate in 3D che permettono di mantenere bassi i costi, e ad elementi in alluminio nelle parti soggette ad urti. Hanno dotato il robot di sensori a ultrasuoni, a infrarossi e di telecamera per perlustrare l’ambiente, oltre che fornirlo di un microfono e di un sensore di pulsazioni cardiache in grado di rilevare le condizioni di un eventuale ferito. Per telecomandare PieRRE hanno ideato un’apposita app, ma anche un “guanto capacitivo” che fa corrispondere un comando a ogni gesto della mano; anche in questo caso non è mancata la collaborazione con l’università di Padova, dato che nella seconda metà di giugno i tre studenti hanno svolto uno stage nello Ias-lab del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, sotto la supervisione di Emanuele Menegatti, docente di ingegneria informatica.