Padova è capofila del progetto europeo PD_Pal che sta per Palliative care in Parkinson’s disease, finanziato con 4 milioni di euro dal programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020 (photo Bo Live, UniPd). L’obiettivo è quello di portare innovazione gestionale e tecnologica nell’assistenza prevalentemente domiciliare ai pazienti affetti dalla malattia di Parkinson. A tale progetto,inaugurato nei gg.scorsi con un convegno, ci sono il dipartimento di Neuroscienze e il Padova Neuroscience Center dell’università di Padova, che coordinano una collaborazione internazionale che vedd coinvolti il King’s College e l’University College di Londra, l’università di Nijmengen in Olanda, quella di Ioannina in Grecia e di Marburg in Germania, la Società Estone per i disturbi del movimento e l’università privata medica Paracelsus di Salisburgo in Austria. Sul Bo Live, il giornale web dell’ateneo, ha scritto un testo Francesco Suman. L’invecchiamento della popolazione è una delle grandi sfide che la nostra società dovrà affrontare negli anni a venire e con l’innalzamento dell’età media sarà destinata ad aumentare anche l’incidenza delle patologie neurodegenerative che secondo le stime presto supereranno nei numeri quelle oncologiche. In Europa quasi un milione e mezzo di persone è malata di Parkinson, secondo i dati del ministero della salute circa 270.000 sono italiane e di queste tra le 20 e le 25 mila risiedono in Veneto. Malattie come il Parkinson e l’Alzheimer hanno qualcosa in comune nel meccanismo di insorgenza: in entrambi i casi il sistema di smaltimento dei rifiuti delle cellule cerebrali smette di funzionare correttamente e vengono ad accumularsi masse proteiche: placche amiloidi nel caso dell’Alzheimer, corpi di Lewy formati dalla proteina alfa-sinucleina nel caso del Parkinson. Le ragioni per cui il sistema in qualche punto si inceppa ancora non sono del tutto note, così come non è noto il motivo per cui il Parkinson colpisce preferenzialmente i maschi (per l’Alzheimer invece sono le femmine i soggetti più colpiti). Vi possono essere delle forme genetiche di Parkinson, che solitamente non fa comparire i suoi sintomi prima dei 40 anni e aumenta la sua incidenza proporzionalmente all’aumentare dell’età, dopo i 50, i 60 e i 70. Ci possono essere inoltre delle correlazioni con alcuni fattori ambientali, come la qualità dell’aria, poiché le prime forme di infiammazione, che poi portano ai sintomi della malattia, si registrano nell’apparato intestinale e in quello olfattivo. “Oggi per il Parkinson esistono trattamenti farmacologici molto efficaci e di nuovi ne avremo nei prossimi tre anni” ha spiegato Angelo Antonini del dipartimento di neuroscienze, coordinatore del progetto PD_Pal. “Il Sistema sanitario nazionale garantisce accesso a tutti, ma i tempi di attesa spesso sono lunghi e ci sono notevoli difficoltà logistiche per chi ha questa malattia in stadio e età avanzati. Spesso è difficile rimanere in contatto con i medici specialistici”. L’idea del progetto è quella di cambiare approccio e puntare sull’integrazione tra ospedale e territorio. “La riabilitazione si fa sempre meno in ospedale e sempre più nel territorio, i pazienti si incontrano con fisioterapisti, infermieri, logopedisti e psicologi del territorio”, ha spiegato Stefano Masiero, professore di medicina fisica e riabilitativa del dipartimento di neuroscienze. “Il Parkinson è una patologia cronica evolutiva che porta alla comparsa di una disabilità che impatta sugli aspetti cognitivi e motori. L’intervento riabilitativo che si vuole attivare sul territorio vuole andare a ridurre questa disabilità, per preservare l’autonomia nella vita quotidiana di queste persone, dalla capacità di vestirsi, muoversi a quella di comunicare. Il nostro obiettivo è formare le persone che faranno la riabilitazione nel territorio”. Con la malattia in stato avanzato è più difficile ottenere risultati terapeutici. L’intervento sul territorio permette di intervenire nell’immediato del presentarsi della malattia, questo il vantaggio di fare rete. “L’intervento precoce territoriale deve avvenire contemporaneamente all’intervento farmacologico”. Occorre precisare che l’innovazione più importante di questo progetto sta nello sviluppo di tecnologie digitali che monitorano l’andamento della malattia nel tempo. “Intendiamo utilizzare un sistema di sensori avanzati che monitorano a distanza lo stato psichico e motorio della persona, quando sta seduta o distesa, o misurando l’ampiezza del passo. Sono apparecchiature simili a orologi che si possono portare al polso” ha aggiunto Antonini. Non sarà necessario monitorare il paziente tutti i giorni dell’anno, sarà sufficiente anche una settimana al mese e in caso di criticità, i valori registrati supereranno un certa soglia e faranno scattare degli alert. Ciò consentirà anche di sviluppare trattamenti estremamente personalizzati. Sarà possibile raccogliere una mole di dati sui pazienti che, anonimizzati, potranno un domani essere distribuiti e analizzati da chi ne farà richiesta. “I dati appartengono alla comunità scientifica e la ricerca necessita di grandi numeri e di grandi dati, ma occorre anche trasparenza, accesso ai dati originali. In linea con le direttive dell’Unione Europea vogliamo rendere accessibili i dati che raccogliamo” ha ribadito Antonini. È un ambito tutto da esplorare quello delle innovazioni tecnologiche digitali applicate alla medicina. “La Apple ha già sviluppato un sistema di sensori assieme alla Michael J Fox Foundation, la Philips ne ha un altro. È un mercato aperto”, ha commentato Antonini. Ed è anche un nuovo modello di medicina quello che la nuova tecnologia contribuirà a disegnare. “Oggi il modello della medicina prevede che il paziente faccia esami tutti concentrati in un solo momento. Poi magari non vede il medico per 6 mesi, un giorno va in ambulatorio e in 10 minuti vengono prese decisioni importanti”, ha detto Maurizio Corbetta, direttore del Padova Neuroscience Center. “Lo sviluppo della malattia nel tempo non è mappato. Epilessia, cefalee, Parkinson, Alzheimer, sono tutte malattie che fluttuano. L’anno scorso abbiamo vinto un progetto d’eccellenza finanziato dal Miur con 8 milioni di euro proprio per mappare queste malattie che fluttuano, per monitorarle nel tempo. Quando il paziente arriva in ambulatorio si scaricano i dati accumulati in 3 mesi e si studia il decorso della malattia. È un modello diverso di medicina, per cui occorre una partnership con l’industria e con gli ingegneri. La sensoristica è una scommessa”. L’Olanda questa scommessa l’ha già vinta. Dieci anni fa a Nijmengen, una città poco più piccola di Padova, con una medicina forte, è iniziato un progetto simile, ParkinsonNet, che si è dimostrato vincente: si riduceva il numero di cadute dei pazienti e migliorava la loro qualità di vita. L’assistenza domiciliare integrata in Olanda ha visto la partecipazione dell’industria, Philips (multinazionale olandese), con ingenti finanziamenti. Tre anni fa il governo ha esteso questo approccio su scala nazionale. L’Olanda è un territorio morfologicamente omogeneo, simile al lombardo-veneto e il sistema sanitario segue un sistema assicurativo, come quello tedesco. “Per questo nel progetto abbiamo anche i partner inglesi, che hanno un sistema sanitario nazionale simile al nostro” ha spiegato Corbetta: “occorre dimostrare che per certe patologie questo modello funziona, ad esempio mostrando che i pazienti coi sensori richiedono l’impiego di meno farmaci rispetto ai pazienti senza sensori. Se il nostro progetto funzionerà alla fine di questi tre anni e mezzo si potrà portare in regione un modello e si potrà pensare di espanderlo e utilizzarlo per altre realtà. Ma per ora pensiamo alla scala territoriale”.
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