Le opere dei grandi pittori del Trecento a Padova, come il cielo stellato di Giotto agli Scrovegni o l’eleganza degli angeli di Guariento di Arpo, sono le candidate italiane ufficiali per la Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco per il ciclo di valutazione 2019/2020. Dopo l’Orto Botanico nel 1997, la città di Padova ha tutti i requisiti per conquistare il secondo sito Unesco nel territorio cittadino: il 13 aprile scorso è stato firmato il protocollo d’intesa tra le varie parti coinvolte nell’iniziativa artistica e culturale Padova Urbs Picta e il ministero dei beni culturali e delle attività culturali e del turismo: il capofila degli enti partecipanti è il Comune di Padova, insieme alla Regione Veneto, all’Accademia galileiana di scienze, lettere ed arti, alla Delegazione pontificia per la Basilica di sant’Antonio, alla Diocesi di Padova, alla Veneranda Arca di sant’Antonio e all’Università di Padova. Francesca Bastianon ha scritto su questo potenziale artistico un testo che è stato pubblicato sul giornale Il Bo dell’ateneo; in esso ha giustamente sostenuto che “Padova Urbs Picta è un viaggio tra la storia della città di Padova e l’arte italiana. È un punto di riferimento per lo sviluppo della pittura giottesca e post-giottesca sia a livello nazionale che internazionale. È un nuovo modo di vedere la città, con lentezza per assaporare ogni dettaglio che i grandi pittori del Trecento hanno lasciato dietro di sé”. L’autrice ha ricordato, tra l’altro, che l’iter di candidatura è lungo e complesso: uno dei primi passi è l’inserimento della candidatura nella Tentative List, un elenco nel sito dell’Unesco in cui ogni nazione presenta i possibili beni e siti d’interesse. Ogni paese sceglie il sito da proporre per il successivo ciclo di valutazione, allegando alla domanda un dossier scientifico e di un piano di gestione: per quanto riguarda quest’ultimo documento, l’Unesco chiede agli enti promotori di coinvolgere tutta la cittadinanza e le associazioni del territorio. Il piano gestionale di Urbs Picta, infatti, deve dimostrare concretamente come verranno gestiti i vari siti, dalle procedure di restauro e mantenimento degli edifici alle modalità di fruizione al pubblico. Una volta completata, la documentazione sarà inviata nell’autunno 2018 all’Unesco e, dopo il percorso di valutazione che durerà un anno e mezzo circa, ci sarà la decisione finale del World heritage committee, a Parigi. “Padova Urbs Picta può rappresentare, ha scritto Bastianon, non solo un possibile e futuro vanto cittadino ma un esempio di collaborazione per portare alla luce una delle pagine storiche più importanti della città: il quattordicesimo secolo, attraverso le opere presenti nella Cappella degli Scrovegni, nella Basilica di sant’Antonio, nel Palazzo della Ragione, nei musei civici e nella chiesa dei santi Filippo e Giacomo agli Eremitani, nella Reggia Carrarese, nel Battistero e negli oratori di san Giorgio e san Michele. La fioritura artistica della città in quest’epoca è avvenuta in gran parte durante il governo della famiglia Da Carrara, dall’inizio della Signoria nel 1318 all’arrivo della Serenissima Repubblica di Venezia nel 1405. Il primo passo, tuttavia, è stato compiuto dagli Scrovegni, nobile famiglia padovana di banchieri: la Cappella omonima, situata vicino all’area dell’Arena, è il punto di partenza per la pittura trecentesca a Padova. L’edificio contiene gli affreschi del pittore fiorentino Giotto, basati sulle storie del Nuovo Testamento, con il caratteristico blu intenso della volta stellata che conduce il visitatore in una dimensione di eternità divina e celeste. Giotto è autore anche di altre opere cittadine come la Cappella delle Benedizioni e la Sala del Capitolo nella Basilica di sant’Antonio, gli affreschi del Palazzo della Ragione, distrutti in un incendio nel 1420 e ricostruiti nel corso del tempo da diversi pittori, e il Crocifisso di Padova, conservato nei musei civici agli Eremitani”. Nel giornale Il BO si ricorda poi che una delle costruzioni più notevoli della famiglia Da Carrara è la Reggia Carrarese, eretta nel 1338 da Ubertino. L’unica parte rimasta intatta fino a oggi è la Loggia Carrarese, ora sede dell’Accademia galileiana, trasformata dopo la morte di Ubertino nella cappella privata della famiglia. In questa edificio è custodito il lavoro di Guariento di Arpo, pittore di probabile origine padovana; ciò che si nota maggiormente negli affreschi conservati sono la contestualizzazione degli abiti dei personaggi dell’Antico Testamento, il realismo paesaggistico e un’abilità prospettica figlia dell’insegnamento giottesco. L’altro edificio contente le opere del Guariento è la chiesa dei santi Filippo e Giacomo agli Eremitani, danneggiata durante la Seconda guerra mondiale: al suo interno è ancora possibile ammirare gli affreschi del Giudizio universale e delle Storie dei santi Agostino, Giacomo e Filippo nell’abside maggiore della struttura. La chiesa predisponeva anche di un convento, ora sede dei musei civici che custodiscono al loro interno i frammenti delle Storie di Gesù Cristo di Pietro da Rimini, la Madonna dell’umiltà di Cennino Cennini e le tavole dipinte del Guariento, originariamente collocate nel soffitto della cappella carrarese. La chiesa agli Eremitani preserva, inoltre, i mausolei di Ubertino e Jacopo Da Carrara, alcuni resti degli affreschi di Andrea Mantegna e il lavoro di un altro importante pittore trecentesco, Giusto de’ Menabuoi. Nel 1370 Fina Buzzacarini, moglie di Francesco Il Vecchio Da Carrara, decise di commissionare all’artista toscano la decorazione del battistero di Padova, destinato a diventare il tempio-mausoleo della famiglia Carraresi. Gli affreschi di Giusto de’ Menabuoi sono disposti in un programma iconografico complesso che fa riflettere sulla possibilità che il pittore sia stato coinvolto anche nelle fasi di progettazione dell’edificio: nella grande cupola, infatti, il Cristo Pancreatore è attorniato da schiere angeliche, patriarchi e profeti, santi e sante in un circolarità magnetica. Nel 1382 il lavoro di Giusto de’ Menabuoi si sposta nella Basilica di sant’Antonio dove affresca la cappella del Beato Luca Belludi con scene tratte dalla vita dei santi Filippo e Giacomo. La cappella di san Giacomo all’interno della basilica rappresenta un altro importante esempio di pittura post-giottesca della fine Trecento a Padova, grazie a Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi. La realizzazione fu commissionata dalla famiglia Lupi di Soragna, marchesi originari del territorio di Parma: a loro si deve anche la costruzione dell’oratorio di san Giorgio, la cui decorazione fu affidata ad Altichiero. Nell’oratorio sono presenti le storie di san Giorgio, di santa Caterina d’Alessandria e di santa Lucia in un elegante equilibrio di rimandi simbolici ed esaltazione della famiglia Lupi. Lo stile del pittore veronese lo ritroviamo anche negli affreschi dell’Oratorio di san Michele ad opera dell’allievo Jacopo da Verona: l’edificio era in origine la cappella dedicata a Maria, unica traccia rimasta della chiesa di san Michele e dei santi Arcangeli”.