Il Touring club italiano ha messo di recente on line il suo archivio di riviste, mappe, video d’antan; non è la new york public library né la digital public of america, ma ci sono cose molto interessanti come la raccolta delle Riviste Touring dal primo numero del 1895. Silvia Veroli si occupa di questa realtà archivistica ed ha dedicato un suo scritto sul giornale Il Bo dell’ateneo padovano. Nel numero della rivista di 101 anni fa, in pieno conflitto mondiale, il geografo e speleologo Luigi Vittorio Bertarelli, firmava un articolo di presentazione della guida di Sicilia e Sardegna, a cui il Touring si accingeva a lavorare con la speranza di farla uscire “quando già una pace vittoriosa abbia dato al Paese l’agio di pensare ad altro che non siano gli eventi guerreschi” (uscirà poi nel 1919); “Sicilia e Sardegna: nomi magici per i continentali; nomi pieni di tenero affetto filiale per gli isolani! La Sicilia è, nei libri, per eccellenza il luogo dove fiorisce l’arancio, cioè il sogno degli innamorati; è anche il sogno degli studenti classici che pensano ai templi classici e ai campi delle guerre puniche […] il sogno dei vulcanologi […] dei folkloristi che sino pasciuti nel Pitrè, dei pittori […]” e ancora “Essa è senza dubbio meravigliosamente dotata pel turismo […]. Vi fu un tempo in un la Sicilia era contenuta pel viaggiatore in cliché di semplici linee composto da menti inglesi prima, tedesche poi, nell’epoca in cui il viaggiare nell’isola era quasi sempre un rischio e sempre una grave spesa”. Quel cliché, ci dimostra Gaetano Savatteri in Non c’è più la Sicilia di una volta saggio da poco pubblicato da Laterza, perdura ancora a distanza di un oltre secolo; alle impressioni di tedeschi e inglesi del Grand Tour si sono sommate quelle dei diversi narratori che nei decenni hanno raccontato l’isola con la letteratura, il teatro, il cinema, la cronaca. La cassetta degli attrezzi con cui leggere e conoscere la Sicilia oggi non può più essere quella messa insieme, spiega il giornalista già autore dei Siciliani oltre che di diversi e ottimi saggi e romanzi, da Pirandello, Sciascia, Tomasi di Lampedusa; anche se gli attrezzi che ci hanno fornito sono ancora preziosi e inossidabili. L’identikit siciliano fornito da questi grandi non è più sovrapponibile all’istantanea di oggi dell’isola e dei suoi abitanti. Un punto di non ritorno rispetto al sentimento e alla percezione della Sicilia è l’anno terribile delle stragi: il 1992; ma anche la narrazione di quel tempo siciliano non è adatta alla regione odierna e questo perché, scrive Savatteri, le immagini del luogo che di volta in volta si sono susseguite scalzandosi o giustapponendosi sono comunque mistificazioni, tanto da fare sorgere il dubbio: non solo non c’è più la Sicilia di una volta, come scherza – fino a un certo punto – il titolo del saggio, ma proprio non esiste la Sicilia oppure “ne esistono troppe. Che poi è un altro modo per dire che esiste più che mai”. Una, nessuna e centomila, insomma, tanto per contraddire subito Gaetano Savatteri che, bene inteso, non rottama nessun mostro sacro, solo garbatamente zittisce per un attimo il coro delle perenni citazioni dei grandi classici (“Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi!”) per mettersi in ascolto anche delle altre, attuali voci che l’isola esprime, perché percorrerla ignorandole sarebbe come affidarsi a quella Guida Touring del 1919 per programmare il viaggio in Sicilia della prossima estate. Savatteri, che in Trinacria non è nato ma è cresciuto, compie un lavoro certosino nella disamina di tutti gli aspetti della fisionomia sociale della Sicilia nella cultura dotta e popolare, non dimentica nessun profilo e nessuna esperienza e le restituisce insieme a una lettura godibilissima che non segue un ordine cronologico ma grosso modo tematico concedendosi non poche intersezioni: parlare della Sicilia da mangiare (quasi un contraltare della Milano da bere) vuol dire ripercorrere per Savatteri non solo testi antichi quanto Omero e il timballo del Gattopardo ma anche l’esordio di Montalbano con La forma dell’acqua e dei suoi menu di triglie freschissime fritte messe a sgocciolare sulla carta del pane e pasta ‘ncasciata fino al racconto di avventure enogastronomiche più recenti; l’azienda vinicola di una giovane siciliana, Arianna Occhipinti, che dopo gli studi torna alle origini e fa crescere di trenta volte la produzione iniziale di un ettaro piantato a vigna del campo di casa sua ed è diventata a famosa a New York come The Natural Woman. O la vicenda di Vincenzo Conticello gestore dell’Antica Focacceria San Francesco che denuncia i suoi estorsori e inventa lo street food antimafia fino a cedere, nel 2013, il 95% del suo brand al gruppo Feltrinelli che ne fa il pezzo forte di diversi corner food nelle proprie librerie.A ogni stereotipo arcinoto e dunque rifuggito, in fondo affettuosamente, l’autore inalbera un controcanto di storia nuova, un aggiornamento; dunque se Savatteri sciorina in premessa una gustosa di litania di “Non ne posso più” (quasi riecheggia il nun te regghe chiù di Rino Gaetano) di: marescialli sudati, divorzi all’italiana, pale di fichidindia a colori accesi (e potremmo aggiungere di cavalli impennacchiati e Vitti na crozza) poi però ci spiega che lo spot di Dolce e Gabbana con la Bellucci in sottoveste e il giovanotto azzannapolipo hanno contribuito alla popolarità dell’isola, nella sua consapevole oleografia, più che la “Terra trema”. Che la patria del Bellantonio è stata sede di una delle prime associazioni gay italiane nel 1980, che oltre a diversi modi di dire arancino esiste un esperanto siciliano: non solo il camillerese ma anche la lingua di un bracciante agricolo seminalfabeta di Charomonte Gulfi, Vincenzo Rabito autore di un’autobiografia scritta in tempo reale su una vecchia Olivetti,”Terra Matta”; che Shakespeare era messinese e che Luigi Locascio lo ha messo in scena, che dall’umorismo pirandelliano si può viaggiare da Johnny Stecchino fino Ficarra e Picone, Teresa Mannino e Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo. Che un certo modo di intendere e fare antimafia si è rivelato inefficiente e deludente. Una cornucopia di informazioni che Savatteri orchestra con maestria ma che è facile rintracciare e che sarebbe importante arricchire: basterebbe sintonizzarsi sul presente e magari trovare parole nuove per la narrazione contemporanea.