Uno studio propone un nuovo sistema per studiare i disturbi metabolici legati all’eccesso di nutrizione, senza usare cavie animali. E’ stato pubblicato sulla rivista PlosONE.  Il lavoro è il frutto della collaborazione tra università di Padova (dipartimento di medicina), il team di ricerca del Centro Piaggio di Pisa diretto dalla professoressa Arti Ahluwalia, e Istituto di Fisiologia clinica del CNR di Pisa. Tra i firmatari del lavoro Angelo Avogaro, professore di endocrinologia e metabolismo, Maria Cristina Marescotti e Elisabetta Iori, in forze al dipartimento di medicina dell’università di Padova (foto). “La collaborazione col centro interdipartimentale Piaggio dell’università di Pisa è nata alcuni anni fa, in particolare con la professoressa Arti Ahluwalia e il suo team di ricerca. Cercavano una collaborazione che potesse fornire dati su profili metabolici e fattori di stress e danno a livello endoteliale”, riporta Elisabetta Iori. “Il centro interdipartimentale Piaggio ha messo a disposizione tutta la sua esperienza nello sviluppo di bioreattori che permettono la coltura di cellule diverse in un circuito che tende a mimare quello che succede in vivo”. I disturbi metabolici dovuti a un’ipernutrizione sono spesso associati a obesità e altre gravi patologie e rappresentano un problema ormai pressante per il sistema sanitario di molti paesi del mondo. Fino ad oggi l’uso di modelli animali per lo studio di disturbi metabolici era l’unico metodo esistente. L’obesità tuttavia è un disturbo prettamente umano, dipende dalla dieta e dallo stile di vita, fattori culturalmente determinati. È perciò molto difficile riprodurre questi parametri in laboratorio e su organismi animali che raramente in natura arrivano a mangiare più del necessario. “La sperimentazione animale non sempre fornisce risposte che possono essere esaustive e che corrispondono a quello che succede nell’organismo umano, ci sono differenze fondamentali tra organismo modello animale e uomo”, ha dichiarato Elisabetta Iori. Gli autori del lavoro sono riusciti a sviluppare in vitro un sistema a tre tessuti connessi tramite canali micro fluidici. “Nel nostro caso sono state messe in coltura tre tipi diverse di cellule: del tessuto adiposo (grasso cutaneo), cellule endoteliali e cellule epatiche. Abbiamo utilizzato questi tre tipi cellulari per riprodurre un modello di obesità viscerale e sono state utilizzate diverse quantità di grasso corrispondenti al normo peso, al sovrappeso e all’obeso”. Lo studio, spiega una nota dell’ateneo di Padova, si è concentrato sui marker dello stato di infiammazione. Sono quindi state esaminate le analogie e le differenze tra il modello in vitro e le evidenze ottenute dagli studi sull’obesità presenti in letteratura. Aumentando il tessuto adiposo fino a quantità che corrispondano a stati di sovrappeso e obesità, gli studiosi hanno osservato l’insorgere di stress cardiovascolari e infiammazione sistemica. É stato inoltre visto che gran parte delle risposte osservate dipendono da un’interazione sinergica tra tessuto adiposo e altri tipi di tessuto. Questo setting sperimentale ha il potenziale di ridurre gli esperimenti animali per quanto riguarda gli studi sull’obesità e potrà aiutare a svelare meccanismi cellulari specifici esibiti da un tessuto esposto a un eccesso di nutrizione. “È uno studio pilota ma questa tecnica sperimentale potrà sicuramente venire utilizzata per altre ricerche”, ha concluso Elisabetta Iori.

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