I risultati entusiasmanti che emergono dall’ultimo Monitor di Intesa Sanpaolo sui distretti del Triveneto presentato in questi giorni sembrano segnalare la fine del tunnel. Trascorsi 10 anni dalla crisi del 2008 i distretti di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia hanno raggiunto livelli pre-crisi, con un export di oltre 8,3 miliardi di euro nel primo trimestre 2018. L’export distrettuale vola, con un tasso di crescita del 2,7%, ben superiore rispetto alla media nazionale (2,4%). Tutti le specializzazioni tengono il passo, con un ruolo di traino della meccanica – fiore all’occhiello da sempre del Nordest – ma seguita a stretta misura dai distretti del sistema casa e dalle materie plastiche (come Treviso, ad esempio), mentre la moda mantiene le performance di export del trimestre dell’anno scorso. Anche l’agroalimentare – quarta A del made in Italy con Automazione, Arredamento e Abbigliamento – gioca una funzione di primo piano nel proiettare le economie del Triveneto a scala internazionale, come il distretto del prosecco di Conegliano-Valdobbiadene. Eleonora Di Maria ha scritto un servizoo su Bo Life, il giornale web dell’ateneo di Padova. A livello di mercati internazionali si conferma il primato della Germania come sbocco delle nostre esportazioni, la cui crescita interna riesce a fare da volano per le produzioni distrettuali storicamente legate a questo paese. Niente di nuovo sotto il sole su questo fronte? Gli analisti del Centro studi e ricerche di Intesa Sanpaolo sottolineano anche la capacità delle imprese distrettuali di riuscire a identificare nuovi mercati e a sviluppare proposte commerciali che siano in linea con le esigenze di clienti nuovi, spesso più difficili da raggiungere e da servire in modo adeguato rispetto ai mercati consolidati. Costruendo quindi le premesse per un successo commerciale futuro. Di Maria indica nel suo testo che i distretti industriali veneti (e italiani) hanno subito un profondo processo di cambiamento nel corso degli anni, mutando la propria pelle rispetto a sistemi produttivi locali “auto contenuti”, dove la produzione locale si affiancava ad una capacità di estroflessione solo commerciale. Se da un lato i dati sottolineano la capacità delle imprese distrettuali – anche di piccole dimensioni – di posizionarsi con successo nei mercati internazionali, allo stesso tempo mostra il legame a doppia mandata che molte imprese distrettuali hanno con le catene globali del valore, dove scelte di localizzazione produttiva e mercati di sbocco seguono logiche non puramente commerciali. Già prima degli anni Duemila molti distretti hanno iniziato a internazionalizzarsi non solo a valle – attraverso l’export e in parte anche con investimenti diretti commerciali – ma anche a monte, estendendo le filiere di produzione in Est Europa, in Estremo oriente o in Nord Africa. Queste scelte produttive delle imprese finali hanno spinto i fornitori e subfornitori locali necessariamente a ripensare il proprio ruolo, investendo in innovazione di prodotto e processo e nuove tecnologie come via di upgrading per non restare tagliati fuori dalle relazioni con i propri clienti distrettuali evoluti e sempre più globali. Questo rinnovamento è stato salutare per i distretti, rafforzando la capacità anche delle imprese di fase (esempio: componentisti) lungo la filiera locale a trovare propri spazi di mercato anche all’estero, spingendo ulteriormente (nel tempo) l’export. Questa forte specializzazione manifatturiera distrettuale – che si è dovuta rinnovare e aggiornare nel corso degli anni, complice anche la crisi – è stata quella che ha permesso a molte imprese (e distretti) di crescere, agganciandosi al traino di grandi buyer internazionali. Questa strategia ha pagato sul fronte della crescita dei fatturati. Allo stesso tempo le imprese leader distrettuali, ricombinando in modo selettivo locale e globale dal punto di vista produttivo, hanno abbinato efficienza e specializzazione, assumendo spesso un ruolo di leader anche oltre i confini distrettuali – producendo fuori anche per essere prossimi ai mercati esteri. L’inserimento distrettuale entro le catene globali del valore ha consentito inoltre ad alcuni distretti (ed imprese) di riposizionarsi verso l’alto, aggiungendo attività complesse e ad alto valore (dall’R&D alla gestione di reti commerciali estere), alla “pura” manifattura. Se la crescita dell’export è un sintomo della buona salute distrettuale è anche vero che oggi le imprese distrettuali sono chiamate a gestire in modo accorto, ma dinamico, le proprie scelte produttive e di legame con i mercati finali. Come sistemi produttivi si afferma in modo sempre più evidente il valore della manifattura. Il presidio dei processi manifatturieri e il loro controllo diretto – anche attraverso scelte di internalizzazione e crescita per via interna, strategia in controtendenza rispetto al classico modello distrettuale – può essere determinante nella partita della globalizzazione. Perché genera innovazione e migliore capacità di interagire con i clienti, avendo l’abilità di tradurre quello che vuole il mercato in prodotto (personalizzati), oltre che di costruzione di valore culturale legato alle fabbriche made in Italy. Come sistemi locali i distretti diventano ancora una volta spazi e contesti territoriali interessanti in cui produrre, al di là di limitate scelte di backshoring, quanto piuttosto di re-investimento sul locale avviando nuove produzioni “fully made in Italy”, per valorizzare quel saper fare importante per competere.

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