L’utilizzo di nanoparticelle in prodotti di largo consumo sta dimostrando benefici, attirando investimenti, ma anche sollevando preoccupazioni, in particolare sull’ossido di titanio che purifica l’aria. I materiali in scala ‘nano’ (un nanometro è un milionesimo di millimetro) in determinate condizioni potrebbero porre dei rischi per ambiente e salute. L’incertezza e la scarsa conoscenza scientifica a riguardo potrebbero rallentare l’innovazione e la crescita economica. Su valutare questi rischi e prendere adeguate misure preventive c’è una risposta e viene dai risultati del progetto europeo Sun (Sustainable Nanotechnologies Project), finanziato con 13 milioni di euro dalla Commissione Europea. Enrico Costa, sul magazine di Cà Foscari, ha dedicato alla problematica un servizio in cui ha fatto sapere che oltre cento scienziati da 25 enti di ricerca e industrie da 12 Paesi europei, coordinati dal gruppo del professor Antonio Marcomini dell’Università Ca’ Foscari Venezia, hanno portato a termine uno dei primi tentativi di comprendere quali possano essere i rischi posti dalle nanoparticelle nel corso dell’intero ciclo di vita dei prodotti che le contengono, dalla loro produzione allo scarto, o al riciclo. Dopo tre anni di ricerca nei laboratori e confronto con il mondo produttivo, gli scienziati hanno elaborato, testato e messo a disposizione online una piattaforma di supporto alle decisioni (https://sunds.gd/), che accompagni le industrie e gli organismi di regolamentazione e controllo nella valutazione di tutti i possibili pericoli che possano presentarsi per chi produce, per il consumatore e per l’ambiente. L’obiettivo è capire in anticipo se il rischio sia sostenibile o meno, anche in relazione ai materiali tradizionali a disposizione, e prendere le adeguate misure di prevenzione. Inoltre, lo strumento permette di confrontare quanto costi ridurre i rischi, rispetto ai benefici che il prodotto innovativo può generare e al possibile impatto ambientale. “Il grande lavoro svolto per sviluppare e testare metodi e strumenti per valutare e gestire il rischio posto dai nanomateriali – ha dchiarato Danail Hristozov, principal investigator del progetto e ricercatore al Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari – non solo ha generato un enorme volume di nuovi dati scientifici e conoscenza sul rilascio, l’esposizione e il pericolo potenziale di diversi tipi di nanomateriali, ma ha anche portato a scoperte chiave sulle interazioni tra nanomateriali e sistemi biologici o ecologici, sulla loro diffusione, sul funzionamento e sui possibili risvolti avversi. Questi risultati, diffusi grazie a 140 articoli scientifici, hanno trovato un immediato interesse nelle industrie e negli organismi di regolamentazione e avranno inevitabilmente un ruolo importante nello sviluppo di nanotecnologie più sicure e sostenibili e nel controllo dei loro rischi”. Il progetto SUN ha elaborato anche delle linee guida per prodotti e processi produttivi più sicuri, pubblicate sul sito web www.sun.fp7.eu. Si è appreso che gli scienziati hanno concentrato le ricerche su alcuni materiali e utilizzi specifici, in modo da favorire l’analisi lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. Due sono stati scelti tra i più conosciuti: nanoparticelle di argento usate dall’industria tessile e nanotubi di carbonio a parete multipla usati per rivestimenti navali e componentistica per auto. Materiali meno conosciuti ma di grande rilevanza per il loro utilizzo: pigmenti per auto e agenti antiagglomeranti in silice utilizzati nei cibi. Infine, nanomateriali ad alta valenza commerciale, ma molto innovativi e quindi studiati nell’ambito di Sun: il biossido di titanio ‘drogato’ con azoto per purificare l’aria è un nuovo prodotto attivato dal progetto stesso e sfruttato dal colorificio ceramico Colorobbia; l’impregnante per legno a base di rame è un prodotto riposizionato sulla base delle valutazioni di Sun; il rivestimento per acciaio in carburo di tungsteno per le fabbriche di carta è commercializzato grazie ai risultati di Sun.