Poeta del paesaggio, primo e unico impressionista albanese, pioniere della luce nel dipinto, Painter of People, iniziatore dell’arte pittorica moderna in Albania. Sono solo alcuni degli epiteti che nel corso degli anni gli storici e i critici dell’arte hanno tributato alla figura di Vangjush Mio (1891 – 1957), nato e vissuto per larga parte della sua vita a Coriza (in albanese Korça o Korçë), città al confine con Grecia e la Macedonia, soprannominata “la piccola Parigi d’Albania”. Al grande paesaggista albanese è dedicato l’«Omaggio a Vangjush Mio», prima retrospettiva italiana, organizzata da BluArt Gallery & Events, con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del Ministero della Cultura d’Albania e del Comune di Venezia, che si terrà da venerdì 16 marzo a domenica 22 aprile al Centro Culturale Don Orione Artigianelli di Venezia. Un luogo ideale circondato da un’atmosfera magica, testimone della nascita della pittura Veneziana, sia del Settecento che dell’Ottocento e Novecento, dove abitavano ed operavano i pittori Alessandro Milesi, Luigi Nono, Emanuele Brugnoli e molti altri. Qualche secolo prima, inoltre, i pittori, Canaletto e Guardi lo avevano scelto come luogo deputato alla veduta per l’ampia prospettiva, che dalla Giudecca a San Giorgio arriva fino al Lido. “L’idea di realizzare una grande mostra Vangjush Mio – ha spiegato Migena Hajdari, direttrice di BluArt Events & Gallery e curatrice della mostra – nasce dal desiderio della figlia di Mio, Rozeta, di far ritornare suo padre a Venezia dopo quasi un secolo, per far conoscere questo grande patrimonio della nazione albanese nel mercato dell’arte internazionale.  Il progetto vuole dare all’artista una visibilità non più isolata a livello nazionale nella sua Albania, ma aperta alle influenze globali; potenzialità derivante dallo sviluppo del sistema arte di oggi, che ha modificato ed aumentato le frontiere dell’arte e del suo pubblico, conquistando nuovi spazi geografici”. La mostra, strutturata come una sequenza cinematografica di oltre settanta opere, vuole portare il pubblico non solo a conoscere più da vicino le vicende biografiche e artistiche di Vangjush Mio nella sua ricerca della bellezza patriottica ideale e nella scoperta della luce e dei colori mediterranei, ma contemporaneamente inserirle storicamente dando nota delle trasformazioni e dei cambiamenti della società in cui Mio ha vissuto. Per comprendere appieno la poetica e l’importanza che le opere di Mio rivestono nel patrimonio artistico dell’Albania è necessario infatti inserirle storicamente nel periodo del Rinascimento e dell’Indipendenza albanese, ossia gli anni a cavallo tra Otto e Novecento in cui si riaccendono nel Paese le spinte all’autonomia nazionale sia dal punto di vista territoriale che da quello culturale e linguistico, che culmineranno con la proclamazione dell’indipendenza. Il desiderio di svincolarsi dai dettami anche figurativi dall’Impero ottomano portò gli artisti albanesi alla riscoperta dell’impressionismo dell’Ottocento italiano e dell’inizio del Ventesimo secolo. L’esperienza in Italia per gli artisti albanesi rappresentava dunque un’opportunità per mettere insieme un repertorio di immagini, fissate attraverso schizzi, lavori accademici, libri o semplicemente i ricordi, da rispolverare poi successivamente, al rientro in Patria. Non stupisce quindi che, nel 1920, Vangjush Mio parta per Roma per iscriversi alla Reale Accademia di San Luca, dove ebbe modo di studiare con Umberto Coromaldi ed Ettore Ferrari artisti già noti per le vedute della campagna Romana. Va ricordati che il pittore Mio ha avuto occasione di soggiornare anche a Venezia e a Bologna delle quali rimangono diverse vedute. In particolare, le immagini della città lagunare di quegli anni possono essere messe in relazione con i lavori sul tema del paesaggio realizzati dopo il rientro in Albania, in base a quello che è un aspetto saliente della sua ricerca: la resa della luce e dei toni del paesaggio nelle diverse stagioni, attraverso tocchi giustapposti di colore.  “La pittura di Vangjush Mio – ha illustrato  il critico Paolo Campopiano – si può sintetizzare con tre termini: impressionista, colorista, chiarista. “impressionista” nello sviluppo delle figure e nei paesaggi, in svelte impressioni. “Colorista” perché la sua tavolozza ha dei risvolti singolari, ma mai accesi. E infine “chiarista” perché alle immagini dona una chiara luce trasparente. È difficile accostare la sua opera con qualche pittore noto, avendo egli una personalità ben definita. Vengono in mente alcuni paesaggi di Sorolla quando dipinge le spiaggie di Durazzo, angoli di Korca, simili a quelli di qualche macchiaiolo toscano, Venezie e angoli lacustri che si rifanno a quelle dei Ciardi. È comunque nei ritratti e nelle figure dà il meglio di sè, sapendo cogliere le espressioni e gli stati d’animo nei soggetti ripresi.”. Attento osservatore delle correnti artistiche a lui contemporanee, tornato in patria, Mio – che già nel 1920 era riuscito aveva organizzato la prima mostra artistica per il pubblico in tutta l’Albania-  si fece promotore di numerose esposizioni, tentando così di coinvolgere anche i non addetti ai lavori alla creazione di una coscienza e una storia artistica condivisa da tutto il popolo albanese. Alla sua morte, avvenuta nel 1957, Vangjush Mio lasciava oltre 400 disegni e 130 dipinti, buona parte di questi ospitati presso la Galleria Nazionale di arti figurative dell’Albania a Tirana e nella sua casa-museo a Coriza, città che ancora oggi organizza “I giorni di Mio” durante i quali gli amanti dell’arte possono venire e ammirare dipinti di artisti albanesi e stranieri. Tuttavia, l’importanza di Mio va oltre il suo lascito materiale. L’eredità del “Painter of People”, titolo onorifico di cui venne insignito, è stata quella di aver fatto fare il primo salto della pittura albanese verso la modernità, creando – nelle parole di Vladimir Myrtezai, Professore all’Accademia di Belle Arti di Tirana e curatore della Mostra – «un dipinto lirico che aveva qualcosa da dare alle generazioni dopo di lui. La sua creatività va fino ai limiti di un “metodo”, fuori dalle cornici imposte dal realismo socialista, testimoniano in questo modo che anche in un tempo aggressivo o di proibizioni, ci sono spazi in cui è possibile auto-isolarsi, anche se temporaneamente. A livello nazionale il suo lavoro rappresenta un “marchio”, che il tempo sta preservando come valore. In questo contesto, Vangjush Mio rimane uno dei pionieri della luce nel dipinto, o un’esperienza del plein air nelle circostanze di libertà”.

 

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