Retrospettiva alla Guggenheim di Venezia, dal 22 settembre al 14 gennaio 2019, di Osvaldo Licini, curata
da Luca Massimo Barbero. A 60 anni dalla scomparsa dell’artista marchigiano, il museo gli dedica una retrospettiva, portando in scena, con oltre 80 opere, quella pittura che per Licini era l’arte dei colori e dei segni, dove questi ultimi esprimevano forza, volontà e magia. Era il 1958 quando Osvaldo Licini, sotto l’egida del critico d’arte amico di Peggy Guggenheim Giuseppe Marchiori, vinse il gran premio internazionale per la pittura alla XXIX Biennale di Venezia dove aveva presentato 53 opere – eseguite tra il 1925 ed il 1958 – in una sala personale allestita da Carlo Scarpa. Tra le figure di massimo spicco nel panorama artistico della prima metà del XX secolo, dopo l’esperienza figurativa, Licini abbandona ogni residuo realista, per dedicarsi interamente all’astrattismo. Con oltre 80 opere, la mostra alla Collezione Peggy Guggenheim porta in scena, come è detto in una nota, quella pittura che per Licini era l’arte dei colori e dei segni, dove questi ultimi esprimevano la forza, la volontà, l’idea e la magia (nella foto del catal. una delle sue opere). Nel 1911 si iscrisse all’Accademia di belle arti di Bologna, presso la quale conseguì il diploma nel 1914. Nel 1913 scrisse I racconti di Bruto, una raccolta di storie musicate. In seguito si trasferì a Parigi dove trovò ispirazione nella pittura di Henri Matisse. Negli anni Venti si diede a una pittura di paesaggio post-impressionista e fauve, con una riflessione su Morandi, ma la prima esposizione risale al 1914, all’Hotel Baglioni di Bologna. Tra il ’25 e il ’26 soggiornò a Parigi per la seconda volta, sperimentando il viaggio geografico oltre che romantico: infatti fu in questa occasione che incontrò Nanny Hellstrom, una pittrice svedese che sarebbe diventata sua moglie nel 1925 oltre che il gancio per visitare i paesi nordici nel ’31 e nel ’38. Si definì “errante erotico eretico”. Tornato dal viaggio a Parigi incontrò tante difficoltà per ottenere il passaporto perché era stato segnalato come sovversivo. Da quel momento, sarebbe stato seguito da un agente in ogni suo spostamento, fino al 1930 quando non venne più considerato pericoloso dal regime fascista. Nel 1935 tornò a Parigi e visitò lo studio di Kandinsky e la mostra di Man Ray alla Galleria di Cahiers d’Art. Gli anni ’40 segnarono l’adesione a un surrealismo dalle influenze nordiche. Nel 1958 vinse il Gran Premio Internazionale di Pittura della Biennale di Venezia. Fra il 1931 e il 1973 partecipò a sette edizioni della Quadriennale di Roma. Nel 1963-1964 una sua opera venne esposta alla mostra Peintures italiennes d’aujourd’hui, organizzata in Medio Oriente e in Nordafrica. Morì nel 1958 per enfisema.
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