“Back to Life in Iraq” è un progetto nato dall’incontro tra il giornalista e foto-giornalista Emanuele Confortin, l’associazione culturale per le arti Nuova Icona, e il Ca’ Foscari Center for Humanities and Social Changes, che ha lo scopo di promuovere il ruolo della cultura umanistica nell’analisi delle problematiche più attuali del nostro tempo; il loro sforzo corale, unito a quello di molte altre associazioni, ha permesso al pittore iracheno Matti al-Kanun di portare le sue opere in Europa per esporle a Venezia e a San Servolo. La mostra che le raccoglie – visitabile fino al 4 marzo nell’ Oratorio San Ludovico in Calle dei Vecchi, in Dorsoduro, Venezia – racconta non solo la folle violenza dello Stato Islamico, che ha deturpato i dipinti raffiguranti soggetti religiosi appartenenti alla cristianità (foto), ma anche il desiderio di un ritorno alla pace e all’armonia, simboleggiato dal gesto di ricucire le tele; a questa operazione hanno partecipato anche alcuni studenti di restauro di Ca’ Foscari. Teresa Trallori, sul magazinenews di Cà Foscari, dedica un servizio in cui ricorda che Confortin ha raccontato nel suo discorso, che il progetto è iniziato un anno fa, nel marzo 2017, grazie a una serie di coincidenze davvero peculiari: “Mi trovavo a Mosul, per un reportage sulla città occupata dal sedicente Stato Islamico; durante una visita in uno dei numerosi campi profughi iracheni ho incontrato il pittore Matti al-Kanun, un uomo di grande spirito e cultura, appassionato di Rinascimento Italiano e formatosi all’Accademia di Belle Arti di Baghdad. Mentre orgogliosamente mi mostrava il suo catalogo mi ha raccontato di essere stato costretto ad abbandonare ben 35 opere a Bartella, dove viveva prima dell’arrivo delle milizie dell’ISIS. Seppure rovinate della furia iconoclasta dei Jihadisti, al-Kanun sarebbe voluto tornare nella città finalmente liberata per recuperarle, e per poter poi ricucire le proprie tele come segno di resilienza, non all’Isis o all’Islam, ma alla violenza tutta; ho trovato ammirevole come in un momento storico estremamente delicato, in cui un fedele cristiano si sarebbe potuto scagliare contro una comunità mussulmana sunnita, al-Kanun abbia avuto la lungimiranza e la saggezza di ergersi a “super partes”. Ricucire le tele avrebbe inoltre rappresentato, ai suoi occhi, il riavvicinare idealmente le minoranze e i gruppi etnici iracheni, divisi a causa di una guerra che continua ininterrotta dal 2003, ma che un tempo vivevano in armonia; ovviamente gli squarci sarebbero rimasti ben visibili, come i segni e la memoria della guerra, ma nella speranza di tornare finalmente a vivere in pace. Sono rimasto così colpito dalla profondità del suo pensiero che l’ho accompagnato a Bartella, dove abbiamo recuperato le tele; mesi dopo ho avuto la fortuna di entrare in contatto con il Center for Humanities and Social Change e il suo direttore, Shaul Bassi, che ha saputo riconoscere il valore di ciò che allora era solo un’idea, e ha permesso di iniziare questo lavoro eccezionale, portato avanti da moltissime persone ed istituzioni”. Emanuele Confortin ha anche risposto ad alcune domande riguardanti il progetto ed il “concept” della mostra. “Penso che questo approccio alle crisi moderne e ai conflitti sia fondamentale per non ridurre la complessità di tali situazioni e coinvolgere gli spettatori: basti pensare che questa mostra, che riunisce foto, testi, documentari ed opere d’arte, è stata capace di emozionare molte persone già nei momenti di costruzione e produzione. Inoltre l’interpretazione accademica data dal Center for Humanities and Social Change permetterà a questo progetto di spaziare in moltissimi campi, dall’iconoclastia, alla politica, al tema dei rifugiati e dei diritti umani, unendo la tradizione di Studi Mediorientali dell’Università Ca’ Foscari all’attualità politica e sociale”. Alla domanda se sarà possibile ricucire le fratture e le ferite reali di un paese come l’Iraq, così come si sono potute, con dedizione e pazienza, ricucire le tele di Matti al-Kanun, ha detto: “sicuramente sarà necessario un grande lavoro, ma la volontà delle persone comuni, che è l’elemento più importante in queste situazioni, è presente e forte in tutto l’Iraq; durante i miei reportage ho avuto la possibilità di parlare con sunniti e yahabiti, yazidi e turchi, soldati e profughi, e tutti, proprio come Matti al-Kanun, vorrebbero solo ritornare a vivere in pace”