A Ca’ Pesaro, sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna, palazzo che si affaccia sul Canal Grande, dal 23 giugno al 6 gennaio 2019, un altro avvincente dialogo tra moda e cultura, questa volta grazie alla pirotecnica creatività di Elio Fiorucci, il celebre creativo milanese scomparso nel 2015, da molti definito il “paladino della moda democratica”. La mostra a cura di Gabriella Belli e Aldo Colonetti. Fiorucci, figlio di un commerciante di calzature, fu una personalità unica in questo campo, capace di rivoluzionare la moda e il mercato – quando alla fine degli anni sessanta portò a Milano lo spirito libero e trasgressivo della Swinging London – e di formare il gusto di almeno due generazioni di giovani. Le sue idee innovative, le proposte sempre all’avanguardia rispetto agli input del pronto-moda, l’apertura ad altri mondi e culture, da cui traeva ispirazione, lo rendevano un fuoriclasse. Poi c’era la passione per l’arte e l’architettura contemporanea, che portò Fiorucci a circondarsi di architetti come Sottsass, Mendini, Branzi, De Lucchi – grandi innovatori al pari suo – o di artisti del calibro di Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Andy Warhol, ai quali non chiedeva “opere” ma contributi creativi per realizzare luoghi, narrazioni, eventi dove protagonisti erano la persona e i suoi desideri. “Fiorucci – secondo Aldo Colonetti – è stato una sorta di Marcel Duchamp non solo della moda ma, si potrebbe dire, nel modo di disegnare le cose, gli spazi, le relazioni tra l’oggetto e la persona”. Narrare l’avventura intellettuale di Elio Fiorucci significa ricostruire un’epoca, una rivoluzione del costume – quella del rock, delle ragazze yè-yè, dei figli dei fiori, dell’opposizione al gusto borghese – di cui egli è stato al tempo stesso straordinario interprete e acuto artefice, ma significa anche mettere in luce un arcipelago di legami, relazioni, di esperienze uniche. Il suo primo negozio in Galleria Passarella a Milano, disegnato da Amalia Del Ponte, è del 1967, e nel ’76 lo store coloratissimo sulla 59th Avenue di New York diventa un punto d’incontro di tanti giovani. Qui arrivano anche Andy Warhol, Truman Capote e una giovanissima Madonna che tiene il suo primo concerto nell’83 allo Studio 54 proprio per i quindici anni di attività di Fiorucci. Sempre nel 1983, in ottobre, Keith Haring, con i suoi graffiti, firma il restyling dello store milanese. Quindi l’amicizia di una vita con Oliviero Toscani – insieme al quale scardina i canoni della comunicazione – la frequentazione di Vivienne Westwood. Epoca Fiorucci, curata da Belli e Colonetti, con Elisabetta Barisoni e con la collaborazione di Floria Fiorucci e dell’Archivio Fiorucci, ricorderà tutto questo, con un percorso e un taglio assolutamente originali in linea con lo spirito non convenzionale e non costrittivo di Elio Fiorucci. Nel salone del palazzo veneziano è allestito un “grande mercato delle idee e delle cose” in un “caos ordinato”, come avrrebbe detto Elio, per ripercorrere tutta la sua straordinaria biografia, con un’antologia unica di prodotti, oggetti, manifesti, documentazione di eventi. La sala Elio e il suo mondo ripropone il suo universo creativo attraverso immagini e ricordi delle persone che hanno lavorato con lui, mentre sui tavoli sono raccolti gli oggetti più vari prodotti e venduti da Fiorucci in tutto il mondo, per oltre trent’anni. Gli arredi del negozio di Venezia ricreano, nella sala Fiorucci e gli architetti, l’atmosfera dei punti vendita del marchio diffusi a livello internazionale e progettati da Sottass Associati, Aldo Cibic e Michele De Lucchi. Ma non è solamente il ricordo dei famosi negozi del creativo milanese – da Los Angeles in Rodeo Drive dove approda all’apice del successo negli anni ottanta, fino a Tokyo, Sydney, Rio e Hong Kong – a guidare l’”architettura” della mostra, bensì il tentativo di ricostruire, attraverso le sue invenzioni, la “filosofia” Fiorucci, perché – come ripeteva spesso lui – un negozio, un mercato è “una relazione tra sentimenti, pensieri, linguaggi e anime diverse”. Così le opere di Keith Haring e Jean-Michel Basquiat testimoniano la New York Beat degli anni settanta e ottanta, del suo fermento artistico tra Club e strade metropolitane, in una fusione tra espressione artistica e vita urbana; mentre la presenza costante di Oliviero Toscani, di cui Elio Fiorucci fu amico e “fratello maggiore”, con i suoi manifesti “iconici” e le sue inedite fotografie, dà conto di un’epoca che ha rivoluzionato la moda e la società.

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