Fino al primo maggio la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ospita la mostra “Marino Marini. Passioni visive”, a cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, con la collaborazione di Chiara Fabi. Si tratta della prima retrospettiva mai realizzata dedicata a Marino Marini (1901 – 1980) che ambisce a situare organicamente l’artista pistoiese nella storia della scultura. Con oltre 70 opere, l’esposizione è allestita negli spazi delle mostre temporanee, nonché nelle Project Rooms del museo e nella veranda adiacente tali spazi. Marino Marini. Passioni visive”, è organizzata in collaborazione con la Fondazione Marino Marinie si avvale di un Comitato scientifico composto dai curatori e da Philip Rylands, Salvatore Settis, Carlo Sisi e Maria Teresa Tosi. L’intimità degli ambienti della Collezione Peggy Guggenheim, seconda tappa della mostra dopoPalazzo Fabroni a Pistoia, consente una inedita lettura, concentrata e ravvicinata, di più di cinquanta sculture di Marino Marini e di venti opere, dall’antichità al ‘900, con cui la scultura di Marino si è confrontata. In questo modo viene privilegiato un dialogo serrato tra le sue sculture e quelle della tradizione plastica cui l’artista ha fatto riferimento. Sono i grandi modelli della scultura del ‘900 con cui Marino entrò in dialogo, e, soprattutto, alcuni importanti esempi di scultura dei secoli passati, un’arte mai esposta prima nelle sale di Palazzo Venier dei Leoni: dall’antichità egizia a quella greco-arcaica ed etrusca, dalla scultura medievale a quella del Rinascimento e dell’Ottocento. Un simile dialogo offre un nuovo punto di vista, inaspettato e criticamente innovativo, intorno ai temi affrontati dallo scultore, travalicando le gabbie della cronologia, degli stili e delle periodizzazioni. In un percorso della produzione di Marino Marini esteso dagli anni ‘20 agli anni ’50, ogni sala mette in scena alcuni episodi di questo dialogo. Nelle prime due sale le teste e i busti degli esordi sono affiancati a canopi e teste etrusche, a una testa greco-arcaica proveniente da Selinunte e a un busto rinascimentale di Andrea Verrocchio; mentre ilPopolo, la terracotta del 1929 che fu il passaggio determinante della sua svolta arcaista, è messo a strettoconfronto con il coperchio figurato di un’importante sepoltura etrusca. Verso la metà degli anni ’30 Marino si concentra sul soggetto delnudo maschile e ne trae una serie di statue destinate a lasciare un segno nella scultura europea, come evidenzia, in una sala, il raffronto tra due grandi legni e due opere capitali sul medesimo tema di Arturo Martini e Giacomo Manzù. Negli stessi anni e in quelli successivi Marino Marini amplia l’arco dei suoi soggetti: in una sala successiva sono affrontati tre suoi capolavori eccezionalmente riuniti (un Icaro, un Cavaliere e un Miracolo) a riprova del sorprendente arco di linguaggi e di stili con cui l’artista, al culmine delle sue ca pacità espressive, intende mettersi alla prova. La mostra prosegue con una sala dedicata alle “Pomone” e ai nudi femminili che lo scultore realizza partendo da una originale e modernissima rielaborazione del classicismo post-rodiniano. Alcuni fogli vengono a testimoniare le fasi dell’invenzione plastica del nudo femminile nel disegno, un medium che fu sempre particolarmente caro all’artista. Verso il 1940, mentre quasi tutti gli altri scultori italiani ed europei sembrano voler abbandonare la lezione di Auguste Rodin, Marino Marini la rivisita per dare inizio a una nuova stagione di ricerca che lo porterà a confrontarsi con la forma esistenzializzata di Germaine Richier. Due piccole sale mettono in scena questi confronti. Info:041 2405 415, guggenheim-venice.it