Dal 23 dicembre e fino al 18 febbraio 2018 le Gallerie ospitano la mostra “Schedati perseguitati sterminati: malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo”, arricchita dalla sezione aggiuntiva “Malati, manicomi e psichiatri in Italia: dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale”. Fotografie, disegni, documenti ufficiali e inediti esposti per la prima volta in Italia, evidenziano una delle più gravi offese compiute nei confronti dell’essere umano (foto manifesto). La mostra – che dopo essere stata a Roma e a Bolzano approda a Trento – è stata ideata da Frank Schneider, curata da Petra Lutz, e realizzata dalla Società tedesca di Psichiatria (DGPPN), in collaborazione con la Fondazione Memoriale per gli Ebrei assassinati d’Europa e la Fondazione Topografia del terrore di Berlino. È stata portata in Italia dal Network Europeo per la psichiatria psicodinamica (Netforpp Europa), in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria (SIP). Durante il nazionalsocialismo 400.000 persone, considerate un peso per il popolo tedesco, furono sterilizzate contro la loro volontà e più di 200.000, ricoverate per lo più negli ospedali psichiatrici, furono assassinate. Questa mostra si confronta con il pensiero e i presupposti istituzionali che hanno reso possibili le uccisioni. Si occupa sia delle vittime che dei carnefici e indaga sul silenzio che ha coperto i crimini dal 1945 fino agli anni ’80, quando alcuni sopravvissuti, familiari delle vittime e psichiatri iniziarono ad affrontare il passato. Attraverso storie di vita esemplari vengono restituiti i volti, i nomi e le biografie delle vittime, che finalmente emergono con quella individualità e umanità che le persecuzioni volevano cancellare. Durante il fascismo non vi furono persecuzioni paragonabili agli omicidi di massa dei malati e dei disabili perpetrati in Germania. Tuttavia, l’acritica adesione della Società Italiana di Psichiatria all’ideologia fascista portò a un enorme aumento dei ricoveri e della mortalità nei manicomi e il presidente della SIP apparve fra i firmatari del Manifesto della razza che costituiva il fondamento pseudoscientifico delle leggi razziali del 1938. Nella sezione aggiuntiva (“Malati, manicomi e psichiatri in Italia: dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale”), la SIP si confronta con il proprio passato, facendo ammenda delle posizioni assunte allora sul fascismo e sul razzismo.