Una mostra dedicata al tabarro veneziano, dal 29 gennaio fino a domenica 3 febbraio, nella sala Sinopoli del Teatro La Fenice. L’esposizione e’ organizzata in collaborazione con Tabarrificio Veneto, nuovo partner della Fondazione Teatro La Fenice. L’uso del termine tabarro è diffuso nel Veneto, ma non solo, come nel bergamasco e nelle localita’ della pianura padana, risentendo della diretta influenza veneziana, spesso anche come sinonimo di cappa. Il tabarro è una tipologia di antico mantello, ampio, rotondo, a ruota, in tessuto pesante spesso reso impermeabile. Un tempo veniva portato lungo fino al polpaccio o corto per andare a cavallo e poi in biciletta. Ogni modello di color scuro (a prevalere e’ il nero, come le gondole, sulla scia dell’allora decreto del Consiglio dei Dieci) e bavero, ha una sua collocazione storica e geografica ben definita caratterizzata da antiche valenze funzionali. Il veneziano Sandro Zara, titolare del Tabarrificio Veneto di Mirano, dopo aver iniziato l’attività commerciale in qualità di agente per un’azienda di tessuti nel 1961, produce tabarri dal 1976. È il primo ed unico artigiano a realizzare i capi uno per uno, come si faceva una volta: ogni tabarro viene numerato e marcato con il nome del modello. La produzione e’ di mille capi all’anno. La creazione dei modelli di tabarro è frutto di un’accurata opera di ricerca storica e filologica. Mentre l’Italia faceva scivolare il ’68 in quel ’77 che avrebbe disintegrato pressoché ogni tradizione, compresa quella vestiaria, Zara ha cominciato a proporre questa cappa maschile (ci sono capi anche per donna, con cappuccio) certamente dimenticata e forse per le sue origini della campagna veneta e indossato dalla gente comune e non solo da autorita’ o signorotti. Il tabarro, sorta di mantello prima del bottone (si chiude con un gancio) e della macchina per cucire (non ha bordo), impermeabile, è uno dei soprabiti più caldi tra i capi di abbigliamento. Oggi la battaglia di Zara per rilanciare la moda del mitico tabarro è vinta sebbene siano in molti a copiarlo, spesso utilizzando stoffe inadeguate. Zara ha spiegato che per fare un tabarro lungo ci vogliono sei metri di stoffa. Il tabarro del padrone era più lungo. Chi lavorava doveva, per ragioni pratiche, averlo più corto, era un tabatrino. Zara ha avuto modo di spiegare la differenza tra la mantella e tabarro. La mantella nasce col tessuto in loden, un po’ più leggero. Trama a tela, uno a uno, ed è bordata. Il tabarro è un panno la cui armatura si chiama corda rotta, e’un tipo di armatura che tiene insieme i fili e ne consente il taglio vivo, vale a dire senza cuciture.(nella foto. tabarri di Sandro Zara).