È stata una difesa a tutto campo dell’operato del governo, in particolare dell’ultima manovra finanziaria, quella condotta dal ministro Giovanni Tria il 15 novembre nell’Aula Magna dell’Università di Padova (nella foto di Massimo Pistore). Se i toni sono stati quelli felpati di un intervento scritto, in cui ogni parola è stata soppesata, la sostanza rimane in linea con le dichiarazioni degli ultimi mesi, anche se non ci sono stati riferimenti espliciti al braccio di ferro con l’Unione Europea e all’impennata dello spread. Daniele Mont D’Arpizio per il Bo Live, il giornale web dell’ateneo, ha riferito che il ministro dell’economia e delle finanze è partito dalla constatazione che il mondo sta vivendo una serie di transizioni – anzitutto tecnologiche, climatiche e demografiche – che vanno in qualche modo governate: innanzitutto aumentando gli investimenti in infrastrutture e conoscenza, o almeno ripristinandoli ai livelli precrisi, ma in parte anche proteggendo chi è rimasto indietro, in un mondo in cui le disuguaglianze economiche e sociali stanno crescendo a dismisura: “solo affrontando al contempo i problemi della competitività sul suo versante tecnologico ed infrastrutturale e sul suo versante sociale di capitale umano riusciamo a governare il processo di transizione e spingiamo la crescita”, ha detto Tria, con affermazioni che sono sembrate una difesa di alcune misure enunciate nel contratto di governo, a partire dal cosiddetto reddito di cittadinanza. Un processo, quello del governo delle transizioni, in cui finora l’UE sarebbe rimasta indietro. “Oggi il futuro si gioca soprattutto sulla sfida competitiva per il predominio tecnologico, che è il vero centro del contrasto tra Cina e Stati Uniti – ha proseguito il ministro –, con l’Europa che a me sembra nella parte di osservatrice, spero privilegiata”. Crescita bassa e scarso sviluppo sarebbero insomma problemi europei: “Paradossalmente le previsioni di autunno della Commissione Europea, che indicano un rallentamento dell’economia italiana, indicano anche che al contempo si restringe il nostro gap di crescita con i principali paesi europei come la Francia con la Germania – continua Tria –. Ciò conferma che è necessario avere uno sguardo più ampio e che il problema della crescita è un problema europeo, che dovrebbe essere affrontato insieme con politiche europee e non in modo separato e conflittuale. L’Europa però non ci sembra consapevole della situazione, né ogni caso appare capace di adottare politiche macroeconomiche di stabilizzazione e di contrasto al rallentamento economico a livello europeo”. Un’ultima stoccata è riservata alla gestione della moneta unica: “A quasi vent’anni dall’introduzione dell’euro possiamo considerare che l’effetto di convergenza delle economie della zona euro non è stato realizzato; anzi possiamo concordare che le politiche fiscali abbiano persino alimentato le divergenze tra le diverse economie che hanno deciso di entrare nell’euro. A quasi vent’anni di distanza l’effetto di convergenza delle economie della zona euro non è stato realizzato”. Il ministro Tria è intervenuto nell’ambito della presentazione del rapporto 2018 della Fondazione Nord Est, che come ogni anno intende fa sulla situazione economica di uno dei territori che negli ultimi anni hanno trainato l’economia italiana e da cui arrivano oggi non pochi dubbi e critiche sull’ultima manovra finanziaria. I dati, illustrati dal direttore scientifico della Fondazione Carlo Carraro, contengono allo stesso tempo luci e ombre: se nel 2017 il Pil del Nord Est è cresciuto di un buon 1,8%, per il 2018 si assiste a una frenata (1,3). Con un valore di 33.900 euro il Pil pro capite rimane sensibilmente più alto della media italiana (28.200), più alto di quello francese e vicino ai valori di Paesi come la Germania e la Svezia, mentre anche l’occupazione sembra tornata ai livelli precrisi del 2008. Non mancano allo stesso tempo note di criticità, dovute al rallentamento dell’economia, sia su scala nazionale che europea, e in generale al clima di incertezza generato da elementi come la Brexit, il timore di guerre commerciali e lo stesso scontro tra Governo Italiano e Unione Europea. Una situazione da cui si può uscire, secondo Carraro, tornando a investire soprattutto sul capitale umano, soprattutto nella formazione terziaria e nell’occupazione femminile, cresciuta negli ultimi tempi ma ancora troppo bassa.