Alessandra Saiu su Bo LiVe, il giornale web dell’ateneo di Padova, ha scritto un testo sulla plastica. Ha ricordato che alimenti, beauty products e vestiti sono solo alcuni degli oggetti che fanno parte della nostra vita i cui contenitori o imballaggi sono in plastica. La plastica avvolge ormai il mondo e spesso la ritroviamo putroppo in qualche bosco in cumuli di rifiuti abbandonati o nei mari, sotto forma di vere isole di immondizia, come la famosa Pacific Trash Vortex. La plastica ha cambiato la vita, semplificandola per alcuni versi, ma ponendoci di fronte alla questione dello smaltimento per altri. Negli ultimi anni qualcosa sembra si sia smosso sia nelle nostre coscienze come consumatori, che nel mercato con l’introduzione di materiali eco-friendly. È il caso, ad esempio, delle ecotazze in bambù che possono essere smaltite nell’organico dopo averle lasciate in ammollo in acqua bollente per qualche minuto o della startup finlandese Sulapac, i cui prodotti di packaging verranno lanciati nel 2019. Il loro punto di forza? La durata di 3 anni, se conservati in casa, e la decomposizione in soli 21 giorni nel compost” (nella foto Bo Live, UniPd, tanti tappi di plastica). Oltre alla plastica da ricordare le piante di bambù, variamente utilizzate nei paesi d’origine per fabbricare recipienti, mobili, oggetti e nelle costruzioni. Quello che è importante conoscere è che ogni prodotto creato dall’uomo consuma energia e risorse per nascere e avrà un impatto di qualche tipo sull’ambiente: non necessariamente un oggetto eco-friendly dal punto di vista dello smaltimento lo è anche da quello produttivo e viceversa, come ha insegnato l’annosa questione delle bacchette di legno usa e getta che mettono in pericolo il patrimonio boschivo. Michele Modesti, professore di Processi di trasformazione e riciclo delle materie plastiche e di Processi industriali chimici presso il dipartimento di Ingegneria industriale dell’università di Padova, ha spiegato alla Saiu, che trovare dei materiali biocompatibili efficaci, alternativi alla plastica, nell’industria del packaging è più semplice perché non è necessario che la durata dei contenitori sia decennale. Ma la plastica viene impiegata anche in altri mercati: “Building and constructions, cioè l’edilizia che richiede plastiche che abbiano tempi di vita di 40/50 anni. Il settore auto, soprattutto in prospettiva futura, quando si diffonderanno le auto elettriche che richiederanno materiali leggerissimi: le plastiche saranno molto usate e dovranno durare almeno un decennio. Poi c’è tutto il settore biomedicale”. Un materiale come la bioplastica – quella di cui sono fatti i sacchetti della spesa introdotti recentemente nei supermercati italiani – di origine naturale e non fossile, come invece è la maggior parte delle plastiche, ha un minor carbon foot print in termini di emissione di CO2 durante la sua lavorazione, come ha spiegato Modesti: “può avere una sua collocazione nel packaging alimentare e non, dove il tempo di vita dell’oggetto è di mesi. Tuttavia bisogna stare attenti, e andare a vedere il suo smaltimento come viene fatto. Non sempre i termini bio, green, eco sono sinonimo di qualcosa di positivo: ci sono degli studi che dimostrano che queste bioplastiche si degradano più velocemente nel giro di giorni e settimane, però si riducono in coriandoli che finiscono nel ciclo di vita della fauna, risultando più negative rispetto a un altro tipo di materiali che, invece, rimangono praticamente intatti. La percentuale di bioplastiche prodotte rispetto alle materiale plastiche è del 5/6%, di questa percentuale, circa il 60% a oggi non è biodegradabile. Una parte di quelle biodegradabili è anche compostabile “.
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