Gli europei avvistarono per la prima volta, nel 1722, l’Isola di Pasqua, Rapa Nui, fu chiaro che la minuscola isola triangolare nel cuore del Pacifico stesse celando una storia singolare ed imperscrutabile. Gli studi scientifici del secolo scorso portarono alla formulazione della teoria del collasso, secondo la quale una cattiva gestione delle risorse disponibili portò il popolo Rapa Nui ad una crescita demografica incontrollata e non sostenibile, che a sua volta portò al collasso culturale e ambientale in un periodo compreso tra il 1400 e il 1700. In molti, negli anni hanno utilizzato questa ricostruzione come monito per l’attuale società moderna, accostando la piccola isola sperduta nel Pacifico all’intero globo. Ma che cosa è successo veramente a Rapa Nui in quel periodo? Quanto è attendibile la teoria del collasso? Negli ultimi decenni, scienziati di tutto il mondo continuano a chiederselo, senza tuttavia convergere su una ricostruzione condivisa. Per capirlo, un team internazionale di scienziati cileni ed americani, coordinati da Dario Battistel, ricercatore al Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, si sono recati nell’isola alla ricerca di risposte, nell’ambito del progetto di ateneo ‘The Last Tree Standing’. Nelle news del magazine di Cà Foscari sono pubblicati un servizio e dichiarazioni di Dario Battistel. “Quello che stupisce è l’entità del cambiamento culturale e ambientale”, ha affermato Battistel, leader della ricerca. “Non dovremmo semplificarne le cause. Un possibile cambiamento climatico potrebbe aver giocato un ruolo determinante, anche se è più ragionevole pensare ad un contributo di molteplici fattori. Un vero tassello mancante è stabilire con accuratezza la velocità di questo cambiamento. Purtroppo, c’è una zona d’ombra temporale ancora inesplorata negli archivi ambientali e climatici dell’isola. La cosa che impressiona di più è il passaggio dall’antico culto dei Moai al più recente culto del Tangata manu, l’uomo uccello. I primi Rapa Nui costruivano Moai a Rano Raraku, cremavano i morti e non è mai stata trovata traccia di alcuna forma di scrittura. Poi, all’improvviso, hanno smesso di costruire Moai, il centro principale di culto si è spostato ai margini del cratere vulcanico di Rano Kau, hanno stabilito nuove regole di selezione del loro leader attraverso la competizione del Tangata manu, hanno cominciato a seppellire i morti e a scrivere su tavole di legno trasportato dal mare utilizzando una misteriosa forma di scrittura, il rongorongo. È molto probabile che un violento conflitto abbia caratterizzato questo passaggio, ma va detto che anche il cannibalismo che caratterizza questo periodo, secondo molti archeologi, fu una pratica culturale più che una necessità alimentare. Si consideri che tutto questo è accaduto in un battito di ciglia. In pochi secoli, forse meno. Può essere esclusivamente il frutto di una mala gestione delle risorse, come in molti hanno sostenuto per decenni? Secondo noi, un ulteriore contributo di fattori climatici ed ambientali potrebbe non essere l’unica possibile spiegazione. Abbiamo conosciuto il popolo Rapa Nui. Ancora oggi, il Make-make, la principale divinità rapanui, e il Tangata manu plasmano la loro cultura molto più dei Moai. I Moai servono solo per attirare i turisti a dar sollievo al prurito dei cavalli. Quando al villaggio di Orongo, nel cuore del sito principale del culto del Tangata manu, dissi timidamente: ‘sono due popoli diversi. Se sono arrivati una prima volta, perché non possiamo considerare l’ipotesi di una seconda ondata migratoria?’, il resto del team commentò: ‘Finalmente qualcuno l’ha detto! Credo che sia quello che pensiamo tutti!’”. Non c’è stato nessun collasso, ma solo una conquista, quindi? “Una qualche forma di collasso, se vogliamo chiamarlo così, c’è stata, questo è innegabile. Ma ci sono molti altri fattori che devono aver condizionato questo cambiamento, non solo una mala gestione del territorio. Mi sembra una sovra semplificazione. Una possibile seconda ondata migratoria potrebbe aver accelerato o indotto il processo di stravolgimento culturale. Si consideri che l’isola non è esattamente dietro l’angolo e che i viaggi nel Pacifico a loro volta sono fortemente condizionati dalle condizioni climatiche. L’ipotesi è congruente anche se tutta da dimostrare. Dopo l’annessione al Cile e l’introduzione di numerose specie invasive, soprattutto l’eucalipto, negli anni 50-60’. Tutto questo ha reso l’isola di Pasqua dei giorni nostri una terra a corto di risorse idriche, complicata da forti rivendicazioni di indipendenza da parte del popolo indigeno e afflitta da incendi spesso dolosi. Si pensi che solo un paio di giorni dopo la nostra partenza, il cratere di Rano Kau è stato seriamente danneggiato da un vasto incendio. La nostra guida archeologica si chiamava Merahi che in rapanui si può tradurre con ‘Angelo’. Forse ci ha protetti. Sì, siamo stati fortunati”. Come intendete fare luce su queste questioni? “Ci sono tre zone umide nell’isola di origine vulcanica. Abbiamo campionato diverse carote di sedimento con successo in tutti e tre i siti. Abbiamo portato a termine quello che ci eravamo programmati, nonostante qualche intoppo. Siamo fiduciosi. Analizzeremo la struttura chimica e sedimentologica delle carote con una elevata risoluzione temporale. Questo ci fornirà informazioni sulle dinamiche del cambiamento ambientale e climatico mai osservate prima. Cercheremo inoltre di rispondere alla domande ‘quando sono arrivati per la prima volta all’isola?’, ‘quando hanno abbandonato Rano Raraku (la cava dei Moai)?’, ‘quando si sono stabiliti ad Orongo?’. La velocità del cambiamento è uno degli aspetti chiave per risolvere parte del mistero. Un’altra chiave è l’interpretazione delle tavole rongorongo. Purtroppo gli unici a conoscere il significato dei simboli sono morti nel diciannovesimo secolo, in seguito alla deportazione e allo schiavismo. Questa parte del mistero forse rimarrà irrisolta per sempre. Ma il vero valore aggiunto di questo progetto è il carattere fortemente multidisciplinare. Il team è eterogeneo, con diverse competenze, ci sono archeologi, paleoecologi, biologi, geologi e chimici, appartenenti a svariate istituzioni universitarie, culturali e di ricerca che si sono offerti di partecipare e supportare questo progetto, tra cui la Universidad de Playa Ancha (Chile), la Universidad de Concepción (Chile), University of Minnesota, Montanta State University, United States Geological Survey, così come gli enti locali rapanui come il Consejo de Monumentos Nacionales ed il CONAF. Ci sono tutti gli ingredienti che servono per fare un ottimo lavoro”.