Si impiegano materiali artificiali, protesi, per ricostruire il femore o l’acetabolo, nel caso dell’anca ad esempio, che hanno forma e proprietà meccaniche tali da riprodurre la funzionalità dell’osso che va in degenerazione. Ora il punto è: si può immaginare qualcosa del genere anche per il tessuto cerebrale, qualcosa che sia in grado di riabilitare l’attività dei neuroni danneggiati in caso di patologie come il Parkinson, l’ictus o l’epilessia? L’ipotesi sembra di quelle pertinenti: c’è chi si sta muovendo proprio in questa direzione sfruttando sistemi di intelligenza artificiale. Monica Panetto sul Bo Live, il giornale web dell’ateneo di Padova fà il punto (con foto UniPd) e ricorda che a lavorarci è un consorzio europeo coordinato da Stefano Vassanelli, neurofisiologo al dipartimento di Scienze biomediche dell’università di Padova, e il progetto in questione (A SYnaptically connected brain-silicon Neural Closed-loop Hybrid system – Synch) ha recentemente ottenuto un finanziamento di oltre quattro milioni di euro. “Il nostro obiettivo – ha spiegato Vassanelli – è di sviluppare dei dispositivi artificiali che mimino la funzione dei neuroni che vanno in degenerazione, avvicinandoci a vere e proprie neuroprotesi cerebrali. L’idea, nello specifico, è di collegare neuroni artificiali elettronici a neuroni biologici presenti nel cervello (di animali, per ora), per creare una connessione sinaptica ibrida (le sinapsi sono il punto di contatto funzionale tra due cellule nervose Ndr) e stabilire una comunicazione in entrambe le direzioni”. Un ulteriore passo avanti rispetto agli studi condotti finora. Nel corso degli ultimi anni, con il progetto Cyber-Rat prima e Ramp poi, il team di Vassanelli è stato in grado di sviluppare delle tecnologie che consentono di creare vere e proprie reti neuronali artificiali elettroniche su microchip, cioè su dispositivi nanometrici o micrometrici: una superficie di due, tre millimetri quadrati, può contenere centinaia o migliaia di neuroni. Ora l’intenzione è di andare oltre e si tenterà di “far parlare” i neuroni artificiali con quelli biologici. Le possibili applicazioni in ambito terapeutico a cui gli studiosi guardano sono molteplici, a partire dal trattamento dei malati di Parkinson. Già nel giro di qualche anno le nuove tecnologie potrebbero permettere di migliorare la tecnica di stimolazione cerebrale profonda, utilizzata nei pazienti più gravi quando le altre terapie non sortiscono effetto. “Ora – ha argomentato Vassanelli – esistono dispositivi che permettono di stimolare i neuroni cerebrali, attraverso l’impianto di elettrodi che producono impulsi elettrici in alcune zone specifiche del cervello. E’ una sorta di pacemaker cerebrale, ma si tratta di dispositivi che pensiamo siano molto migliorabili in futuro. L’elettrodo, lo stimolatore non ha nulla a che vedere con una rete neuronale vera. Il nostro obiettivo è di avvicinarci a dei sistemi neuroprotesici che assomiglino un po’ di più ai neuroni e alle reti neuronali nativi, che mimino la loro funzionalità, e impiegare questi neuroni artificiali per stimolare meglio il tessuto cerebrale ed eventualmente danneggiato”. Si tratta di sistemi impiantabili, spiega nel suo testo Panetto, “smart”, che stimolano i neuroni in modo intelligente e più vicino ai neuroni veri. Oltre al trattamento del morbo di Parkinson, gli ambiti di applicazione terapeutica possono essere anche altri. “Si pensi anche all’epilessia o al trattamento post-ictus – sottolinea Vassanelli –. Nel secondo caso alcune zone localizzate del tessuto nervoso vanno in necrosi e dunque si potrebbe pensare a un impianto per riattivare e riabilitare la funzionalità dei neuroni”. Lo scienziato cita anche gli impianti di retina: in caso di degenerazione retinica, i trial clinici oggi prevedono l’impianto di retine artificiali basate su dispositivi microelettronici. Queste tuttavia potrebbero essere rese più intelligenti e contenere neuroni artificiali che emulano più da vicino i neuroni retinici. “Di fatto – ha proseguito Vassanelli – nello sviluppo di questi dispositivi vengono applicati concetti molto simili a quelli impiegati nelle reti neurali artificiali attuali, le stesse che utilizza anche Google per il riconoscimento delle immagini, ma implementate in neuroni microscopici realizzati in hardware su microchip”. Sono argomenti dalle forti implicazioni etiche che derivano dall’impiego di tecnologie basate sull’interazione tra cervello e intelligenza artificiale. Fino a che punto si vuole che questi mondi comunichino? Quali sono i vantaggi che si possono ottenere, quali i rischi a cui si può andare incontro? “È il momento di parlarne e di trovare delle linee guida”, conclude lo scienziato anticipando temi che saranno affrontati nei prossimi quattro anni nel corso del progetto, allo scopo di promuovere un dibattito etico che coinvolga scienziati, aziende, pazienti affetti da disturbi neurologici e i loro caregiver.