Giovanni Battista Belzoni, per Padova, è un pezzo di storia che però, come spesso accade nel nostro Paese, non viene raccontata. Così, mentre al di là dei confini quest’uomo viene annoverato tra i personaggi che hanno cambiato il mondo, succede che Belzoni sia solo una via, una mensa, una scuola. Di questo si occupa su ViviPadova, il magazine degli studenti dell’ateneo, Elisa Speronello. Un grande peccato, dato che questo padovano illustre è considerato il pioniere dell’egittologia e l’inventore dei giochi d’acqua. The great Belzoni o il gigante del Nilo, come lo chiamano in tutto il vecchio continente, nacque a pochi passi dalla chiesa di Santa Sofia nel 1778, poi a 16 anni si trasferì a Roma. Questa fu solo la prima meta di una vita vagabonda, fatta di continui spostamenti in vari paesi europei alla ricerca di fortuna ed esperienze. Un tipo di vita incredibilmente simile a quella di tanti giovani di oggi. A Roma studiò ingegneria idraulica, a Parigi, invece, fu un venditore di immagini sacre, in Olanda si improvvisò politico, poi ancora e per dieci anni di seguito, intrattenne le platee e i teatri britannici con numeri di forza e macchine ad acqua e fuoco. A Londra fu per tutti il Grande Belzoni, aiutato anche dai quasi due metri di statura, ma fu grazie all’ingresso nella cerchia del duca di Sussex che gli si aprirono le porte delle più esclusive logge massoniche. A Malta, infatti, conobbe un inviato del viceré d’Egitto. Gli egiziani erano interessati alle sue doti di ingegnere idraulico per rivoluzionare l’agricoltura, così Belzoni sbarcò ad Alessandria nel 1815, ma un anno più tardi il progetto era già fallito. Belzoni non era disposto ad arrendersi, e scoprì così come guadagnarsi da vivere. Affrontò i segreti dei misteriosi faraoni e lo fece con uno spirito inedito, per quei tempi: era un uomo pratico, coraggioso, intuitivo, che non smise mai di apprendere. Questo insieme di caparbietà e doti naturali gli permise di arrivare dove altri studiosi avevano fallito. Le sue motivazioni furono la grande curiosità e lo spirito avventuriero, e come per tutti gli altri fama e denaro, anche se, alla fine, ottenne poco di entrambe le cose. Fu tradito e raggirato, disprezzato per i suoi umili natali, additato come una persona arrogante, aggressiva e presuntuosa. Ma Belzoni non fu nulla di tutto ciò: nella sua imponente mole albergò un’anima generosa con delle indiscutibile capacità innate. Tentarono persino di scippargli il merito di alcune scoperte, ma solo la morte riuscì a fermare le sue ricerche. Fu così che, nel 1818, dopo vari ritrovamenti, Belzoni puntò dritto alla piramide di Chefren, la seconda per grandezza a Giza, e ne scoprì l’ingresso. Per giorni e giorni girò attorno a quella montagna fatta di pietra e sabbia, la studiò e la confrontò con quella di Cheope, lì a fianco, già aperta da secoli. E ce la fece, come testimonia la scritta “Scoperta da G. Belzoni 2 mar. 1818” incisa su una parete della camera del faraone. Questa fu solo la sua scoperta più grande e inconfutabile, ma ce ne furono delle altre, come il dissabbiamento del tempio di Ramses ad Abu Simbel, il ritrovamento di sei tombe nella Valle dei Re tra le quali la più ampia e bella, quella di Sethi e nota anche come Tomba Belzoni. Eppure nel campo dell’egittologia, Belzoni rappresenta una chiave di volta, il fondatore di un filone divulgativo. Si ruppe con la concezione settecentesca della ricerca mirata al bello e al valore, e iniziarono gli insegnamenti di un’esplorazione attenta alla comprensione della storia. Il tutto grazie al suo libro Narrative of the operations and recent discoveries within the pyramids, temples, tombs and excavations in Egypt and Nubia che è considerato il primo ad avere successo in questa materia. Poi, nel 1821, organizzò anche la prima mostra di tutti i tempi di egittologia, a Piccadilly con la ricostruzione della tomba di Sethi. Nel 1823 in Nigeria, il gigante del Nilo partì per la sua ultima grande esplorazione, quella verso la mitica Timbuctu, la regina delle sabbie, e non fece più ritorno. Belzoni, quindi, è stato il primo archeologo ad applicare una formula scientifica per ritrovare i tesori dell’antichità e, contemporaneamente, l’ultimo dei cercatori per caso. La sua personalità si tinge di contorni decisamente eroici, dovuti soprattutto alla sua caparbietà nella ricerca e nell’affrontare controversie e infamie da parte di avversari e detrattori. Una storia, la sua, che avrebbe tutte le carte in regola per diventare una sceneggiatura di successo, e in parte ci è già riuscita: dietro al personaggio di Indiana Jones si nasconde proprio Giovanni Battista Belzoni. George Lucas, infatti, ha dichiarato di essersi ispirato al gigante padovano per creare l’archeologo più famoso del grande schermo. Ma cosa è rimasto delle gesta del Grande Belzoni? In realtà, ancora oggi, il nome di Belzoni è in grado di dividere. Quasi sconosciuto in Italia, è noto più che altro agli addetti ai lavori che, a loro volta, si dividono tra estimatori e detrattori. A Tebe viene ancora considerato un saccheggiatore a causa dei suoi metodi primitivi e delle voci messe in giro dai suoi detrattori quasi due secoli fa. Ma Belzoni fu piuttosto un uomo rigoroso, guidato da passione e piacere della scoperta, fu odiato e osannato, e fu colui che tolse l’egittologia dall’improvvisazione per trasformarla in una scienza accurata e affascinante.