Fino agli anni Cinquanta era in uso nelle campagne, per chi possedeva un granaio, coltivare i “cavalieri” ovvero i bachi da seta. La coltura dei bachi da seta, insetti dell’ordine dei lepidotteri, se riusciva bene significava buoni guadagni per la famiglia. Tradizionalmente il periodo cominciava a fine aprile, proseguiva per tutto il mese di maggio e si concludeva a fine giugno, per San Giovanni. L’allevamento iniziava con l’acquisto, di solito presso il consorzio agrario, delle uova, piccolissime, che venivano tenute al caldo per una decina di giorni. Si metteva poi della carta forata sopra di esse, dalla quale sbucavano i piccoli bruchi affamati che venivano alimentati con tenere foglie di gelso tagliate fini.
Il baco cambiava muta quattro volte e diventava sempre più grande e vorace, mangiando giorno e notte e crescendo regolarmente fino a 9 cm., aumentando il lavoro per garantire il pasto di foglie e tenere pulite le “graticole” dove i bachi erano deposti. Dopo una ventina di giorni e l’ultima muta smettevano di mangiare e cercavano un posto sicuro dove costruire il bozzolo e trasformarsi in crisalide, “salendo il bosco”. Venivano allora sistemati dei rami dove i bachi si arrampicavano per compiere il loro percorso, formando un bozzolo costituito da un singolo filo continuo di seta la cui lunghezza può raggiungere 1.700 metri. Quando i bozzoli erano pronti per la filatura, quando cioè non si vedevano più i bruchi in trasparenza, si selezionavano e si liberavano dall’involucro lanoso che veniva utilizzato per fare coperte e trapunte. Le “galète” erano pronte per essere portate nei centri di raccolta e nelle “filande”.
Qui vi lavoravano soprattutto le donne e le bambine, sebbene fosse un lavoro molto duro e difficile; i bozzoli venivano bagnati in acqua così calda da scottare le mani per far morire la larva che altrimenti avrebbe forato il bozzolo rendendolo inutilizzabile; poi con varie macchine venivano filati.
Questa importante attività agricola ed industriale è andata pian piano scomparendo, pur essendo ancora oggi esempio di un glorioso passato e una ricchezza per il patrimonio culturale e della tradizione.
La bachicoltura comincia ad essere praticata in Cina probabilmente già nel VII millennio a.C. nella regione asiatica alle falde del massiccio dell’Himalaya, presso il popolo dei Seri, antica popolazione asiatica dalla quale la fibra prende il nome. Per millenni fu un procedimento tenuto segreto, in modo da poter mantenere il monopolio cinese della produzione e del commercio della seta, tanto che l’esportazione dei bachi era proibita. Nonostante ciò, in epoche successive, si verificarono fughe dell’arte della produzione della seta verso Il Giappone, la Corea e l’India. In Occidente giunse solamente verso il 582 d.C.. La leggenda dice che alcuni monaci agli ordini dell’imperatore Giustiniano furono i primi a portare a Costantinopoli le uova di baco da seta nascoste nella cavità del loro bastone. Nel 1140 giunse in Italia, in Sicilia, dove la coltura del baco e della pianta di gelso ebbe un considerevole sviluppo. Nel tardo Medioevo la bachicoltura e la produzione della seta si svilupparono nell’Italia Settentrionale, in Francia e in Spagna. Il baco da seta una volta era presente in molte regioni italiane. Nell’800, la seta prodotta in Italia, in particolare in Lombardia, raggiunse elevatissimi livelli tecnologici e qualitativi. L’allevamento dei bachi affiancava il lavoro dei campi durante la stagione primaverile, impegnando nella famiglia soprattutto le donne, gli anziani, i bambini. Nelle campagne del diciannovesimo secolo c’erano vaste aree con piantagioni di migliaia di piante di gelso, la pianta che produce le more. Anche nelle campagne venete la produzione era abbondante. La bachicoltura italiana ebbe un ultimo boom nel decennio 1921-1930 con un raccolto nazionale di 47.000 tonnellate di bozzoli, con una punta record nel 1924 di 57.000 tonnellate, il doppio della Francia e dell’Olanda, altri grandi paesi produttori. La produzione cominciò a declinare nel periodo tra le due guerre mondiali fino a scomparire dopo l’ultima, a causa soprattutto dello sviluppo delle fibre sintetiche. Nel 1850 una terribile epidemia annientò la bachicoltura in tutta Europa. Ci fu una corsa alla ricerca del rimedio e a Padova venne istituita – con regio decreto del 1871 – la Stazione bacologica, tuttora esistente, sebbene oggi continui il suo lavoro di ricerca all’interno del Consiglio per la sperimentazione e la ricerca in agricoltura. Questa prestigiosa struttura vanta una collezione di circa 130 razze di baco da seta e diverse varietà di piante di gelso che testimoniano l’importanza rivestita in passato dal baco da seta. (odm)