Esistono terremoti che non vengono percepiti dalla popolazione e altri che raggiungono una magnitudo di sei, sette gradi della scala Richter. Perché, ci si potrebbe chiedere, la maggior parte dei terremoti rimane di piccole dimensioni, ma in alcuni rari casi la rottura sismica si espande sempre di più fino a generare terremoti distruttivi? La risposta non è ancora del tutto nota, ma recentemente un gruppo di ricerca internazionale ha provato a dare delle risposte: secondo gli scienziati uno dei fattori determinanti sarebbe da ricercarsi nella presenza di lubrificanti naturali sulle superfici di faglia, nello specifico di nanoparticelle di quarzo. In un testo pubblicato su Bo Live, il giornale web dell’ateneo di Padova, Monica Panetto ha trattato le origini del sisma ed ha citato un esperto dell’UniPd. “Il terremoto – ha spiegato Giulio Di Toro, docente del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova, che ha firmato l’articolo pubblicato su Nature Communications – è una frattura che si propaga lungo superfici dette faglie (discontinuità presenti nella crosta dove le rocce sono meno resistenti, ndr). Le fratture di un terremoto “nascono” solitamente a una profondità di 5-10 chilometri e si propagano ad una velocità media di circa tre chilometri al secondo. I blocchi di roccia, invece, scivolano l’uno sull’altro a un metro al secondo e sotto una pressione che può raggiungere qualche migliaio di atmosfere. Lo sfregamento di questi blocchi rocciosi controlla la meccanica del terremoto e l’attrito che ne consegue determina le dimensioni dell’evento sismico”. Di Toro ha illustrato la ricerca pubblicata su “Nature Communications” e l’apparecchiatura con cui sono stati condotti gli esperimenti. Gli scienziati hanno scoperto che sulle superfici di faglia, sotto queste sollecitazioni, possono venire prodotti nanosilicati. In particolare, spesso si tratta di nanoparticelle di quarzo delle dimensioni di dieci-cento miliardesimi di metro. La presenza di piccolissime quantità d’acqua tra le particelle e l’aumento di temperatura nella faglia durante il terremoto, agevolano lo scorrimento delle nanoparticelle lubrificando la faglia stessa. Il quarzo è un minerale molto comune nella crosta terrestre. Se le rocce prossime alla faglia hanno immagazzinato nei secoli grandi quantità di energia elastica, una volta che la rottura sismica si propaga in rocce contenenti quarzo, la rottura potrà propagarsi per chilometri, consentendo al terremoto di diventare sempre più grande e distruttivo. “Sappiamo molto poco della fisica dei terremoti – ha sottolineato Di Toro -. I sismologi oggi sono in grado di definire la magnitudo di un evento sismico o di individuare in quale punto della Terra si localizza. Non sono però in grado di definire quali processi avvengano in una faglia durante un terremoto, perché si tratta di una informazione che viene persa nei primi metri di propagazione delle onde sismiche dalla faglia. Un modo per cercare di capire queste dinamiche è simulare in laboratorio le condizioni estreme di deformazione di una faglia”. E così è stato fatto per ottenere i risultati pubblicati su Nature Communications. La strumentazione di cui i ricercatori si sono serviti è un apparato sperimentale chiamato Rosa (Rotary Shear Apparatus), installato nel dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova e acquistato grazie a un finanziamento di eccellenza della fondazione Ca.Ri.Pa.Ro. La macchina è in grado di riprodurre le straordinarie condizioni di deformazione raggiunte in una faglia durante un terremoto, mettendo a contatto due provini di roccia di circa 2,5 centimetri di diametro. La strumentazione permette di registrare – ha scritto Monica Panetto – il comportamento meccanico dei campioni utilizzati durante l’esperimento. Dai dati ottenuti gli scienziati cercano di comprendere quali siano i processi fisici e chimici che avvengono durante l’evento sismico. Allo studio hanno partecipato molti istituti italiani ed esteri ed è stato finanziato dall’European Research Council. Oltre all’università di Padova hanno contribuito alla ricerca anche studiosi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, della McGill University di Montreal, della University College London, della University of New Brunswick e della Ruhr-Universität di Bochum. (foto arch. macerie dopo terremoto Italia centrale)