Un anno di ordinanze, limitazioni, leggi, trattative, cortocircuiti istituzionali, si chiude con una constatazione: è cambiato tutto e, al tempo stesso, non è cambiato nulla. L’Italia continua a giocare come prima, certe volte anche di più. Incurante di uno Stato come minimo ambiguo, che per la prima volta ha inserito la cura e la prevenzione dell’azzardo patologico tra le prestazioni sanitarie minime, ma al tempo stesso ostacola chi vuole imporre limiti drastici. Per numero di macchinette risulta che Sardegna e Molise hanno il più alto numero, ma non risulta che i giocatori siano altrettanto numerosi. L’affluenza è inoltre differente in altre città; non si hanno statistiche in merito perchè chi gioca chiede privacy o si autoprotegge: il suo vizio di giocare lo nasconde, pensando di far bene. Cosa assolutamente non vera. Risulta che poco meno di 19 miliardi hanno perso gli italiani, nel 2017, tra slot, videolottery, bingo, ippica, scommesse, lotto e affini, poker e casinò. La stima è di Agipronews, l’agenzia che si occupa di scommesse e azzardo: si basa sui dati del ministero delle Finanze nella prima metà dell’anno e su una proiezione nei sei mesi successivi. Considera la spesa e non il volume delle giocate che è circa cinque volte tanto, quasi 100 miliardi, legati in buona parte alle somme vinte e reimpiegate. Sulla Stampa di Torino è pubblicato un servizio dedicato ai giochi in Italia e alla loro rendita allo Stato; lo stesso fa anche l’Associazione difesa consumatori (Adico) di Mestre. Diciotto miliardi e 944 milioni di spesa significa che in media ciascuno dei 50,6 milioni di italiani maggiorenni ha dissipato oltre 374 euro in un anno, più di uno al giorno. Sembrerebbe una leggera frenata, paragonata ai 19 miliardi superati di poco nel 2016. Invece è un consolidamento, se si pensa che la spesa tra il 2009 e il 2015 si era attestata, con pochi scossoni, sui 17 miliardi. È la dimostrazione che regolamenti, limitazioni e una nuova (seppur altalenante) consapevolezza nelle istituzioni non hanno arginato la febbre del gioco. E nemmeno intaccato le casse dello Stato biscazziere, che anche quest’anno ha intascato quasi 10 miliardi di euro, l’1,9% in meno rispetto allo scorso anno ma pur sempre due miliardi in più degli anni precedenti. Va detto che sindaci e presidenti di regione le hanno tentate tutte: limitazioni agli orari, fasce proibite, ordinanze. Quindi l’arma finale, il distanziometro: banditi gli apparecchi intorno a scuole, ospedali, chiese. Risultato: le slot machine incappano in una leggera flessione (spesa giù del 5%, da 7,5 a 7,1 miliardi) interamente compensata dalla crescita delle scommesse (più 22,4%, ora valgono 1,1 miliardi) e dalle videolottery, ossia le macchinette mangiasoldi più performanti. Sono infatti aumentate di 33 milioni di euro le somme spese negli apparecchi multigioco che accettano anche carte prepagate con puntate fino a 10 euro (mentre alle slot si possono scommettere al massimo 2 euro alla volta). È l’ennesimo segnale del fatto che divieti e limitazioni non hanno fornito particolari risultati, un po’ perché l’Italia si è mossa alla rinfusa, come spesso accade, un po’ perché i controlli sono scarsi, senza contare che certe volte l’applicazione delle norme è difficile e contestata. Torino, ad esempio, ha dovuto sospendere per quattro mesi l’ordinanza che limitava a otto ore al giorno il funzionamento delle slot, prima di avere il via libera del Tar. Bergamo, che ha fatto da apripista, ha dovuto incassare lo stop del Tar ed escludere dai divieti orari la vendita di 10eLotto e Gratta e Vinci. La Lombardia ha deciso di vietare la nuova installazione degli apparecchi in locali a meno di 500 metri dai luoghi sensibili. A Genova i metri sono 300. A Roma sono 350 all’interno del perimetro dell’anello ferroviario e 500 metri all’esterno. A Napoli si è deciso per 500 metri e non se ne parli più. Il 20 novembre il Piemonte ha deciso di vietare nei Comuni con più di 5 mila abitanti l’installazione di slot e videolottery nei locali a meno di 500 metri dai luoghi sensibili ma c’è tempo per adeguarsi: da 18 mesi a cinque anni, a seconda dei casi. Il presidente della Regione Chiamparino ha tirato dritto nonostante i malumori del governo e le proteste dei gestori. Il suo collega ligure Toti, invece, ha preferito sospendere l’entrata in vigore della legge: se ne riparla (forse) ad aprile. In questo caos si è inserita l’estenuante trattativa tra governo ed enti locali sul riordino del settore. L’esito è un decreto del ministero dell’Economia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il primo settembre, che prevede di ridurre del 34,9% le slot machine (da 407.323 a 264.674) entro il 30 aprile 2018 e dimezzare nel giro di tre anni i punti di offerta, oggi circa 100 mila. Il guaio è che per diventare operativa l’intesa avrebbe bisogno dei decreti attuativi da parte del governo. Chissà se vedranno la luce a due mesi dalle elezioni, anche perché nel frattempo sono emerse divergenze tra alcune regioni e governo. Vedi il caso del Piemonte, la cui legge, secondo il sottosegretario Baretta, creerebbe un «effetto espulsivo»: il 98-99% delle slot oggi esistenti in bar e tabaccherie si trova nel raggio di 500 metri dai luoghi sensibili e dunque andrebbe spenta. Ma gi delle macchinette non si arrendono. Nonostante le leggi restrittive, un modo per scommettere lo trovano comunque. Per aggirare i divieti, quasi sempre, basta cambiare abitudini: luoghi, orari e magari tipologia di gioco. Perché se è vero che ridurre l’offerta è l’unica strada per provare ad arginare la piaga della ludopatia, lo è altrettanto che le vie dell’azzardo sono infinite.