I profughi, o clandestini, continuano ad arrivare in Europa o dalla Grecia, o dal canal di Sicilia e sono provenienti da paesi in ginocchio per guerre interne (Siria, Libia, solo per fare degli esempi). I barconi, sempre stracarichi, portano anche cadaveri. Sono quelli che non hanno superato la grandi prove di sopravvivenza o perchè vittime degli scafisti. Si e’ appreso dall’OIM che è salito ad oltre 350.000 il numero di migranti e rifugiati che dall’inizio dell’anno ha attraversato il Mediterraneo, inoltre più di 2.643 persone sono morte in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. Ci sono poi anche gruppi di disperati che tentano di raggiungere via terra i paesi europei provenienti dal corridoio turco, verso Macedonia, Ungheria, Austria per arrivare in Germania e Regno Unito. Ma questi paesi non accettano più nuovi ingressi e non mancano scontri alle frontiere. Al momento lanci di lacrimogeni di contrasto, e fili spinati. Basterà? E’ stato inoltre segnalato la totale fermezza di chiusura dei confini di Londra. Il 14 settembre ci sarà un summit a Bruxelles per tentare di risolvere questa emergenza che sta diventando epocale e le previsioni per far rientrare ai loro paesi d’origine queste migliaia sembrano durare anni. Tantissimni si chiedono se già siamo davanti ad un islamismo forzato, con conseguenze sanitarie preoccupanti (i profughi, che sono in prevalenza di religione musulmana, non sono tutti sani e sono portatori di sifilide, virus di vario genere, malattie polmonari, e altro ancora come scabbia, pidocchi). Esperti di queste invasioni umane hanno detto da tempo che l’emigrazione non si risolverà che tra 10 anni. Ed è evidente che sono moltissimi i cittadini europei a non accettare questo status. Anche l’Onu ha annunciato che deve trovare una possibile soluzione e che l’Italia, come detto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel va economicamente aiutata. E di queste ore invece una penalità per l’Italia: la corte di Strasbrugo ha condannato il ns. Paese per aver “maltrattato” tre profughi tunisini ai quali s’è deciso di riconoscere un (immeditato) indennizzo. Un “assurdo” al quale l’Italia farà valere le proprie ragioni. E in questa preoccupante situazione da segnalare che settantatre sindaci, quasi il 60% della popolazione rappresentata, hanno preso parte all’incontro (nella foto) organizzato dal presidente della Provincia di Padova Enoch Soranzo per affrontare l’emergenza profughi. “Un confronto aperto, libero, concreto con la maggioranza dei sindaci del nostro territorio – ha detto Soranzo – che si conclude con due mandati: la proposta di una “calata su Roma” dei sindaci padovani per parlare con il ministro Alfano e informarlo su tutto ciò che sta accadendo nella provincia veneta e la necessità di un incontro con il governatore Luca Zaia per sollecitare un sostegno all’emergenza, regole precise, informazioni dettagliate, corrette e tempestive per tutelare i territori e le persone. Non c’è nessuna posizione precostituita – ha precisato Soranzo – quindi, come promesso in occasione della precedente riunione del 3 agosto scorso ci siamo incontrati con i sindaci del territorio per trovare delle soluzioni condivise a un problema complesso e articolato. Come presidente del nuovo Ente territoriale, che tra le sue funzioni ha quella di creare tavoli di coordinamento tra i Comuni, ho sentito il dovere di organizzare questa occasione di approfondimento. E’ emersa una sintesi che auspichiamo porti ad una soluzione che non lasci nessun sindaco solo ad affrontare il problema. E’ noto che in altre regioni italiane la presenza di profughi (adulti, giovani, donne e bambini) ha superato i limiti dell’accettabile (alberghi, ex caserme, campi all’aperto, fabbricati dismessi ed altri luoghi abbandonati e ripristinati) sono stati occupati, su coordinamento delle prefetture e del ministro dell’interno. Dopo il bicchiere pieno, però, tutto può verificarsi, considerato che questa “invasione” non ha soluzioni immediate: occorrono grossi investimenti non per mantenere ogni giorno i profughi (cosa che sta avvenendo) ma per trovare opportunità di pace e di sviluppo presso i loro paesi dove potranno, un giorno si spera non lontano, tornare a vivere.