Niente medico di famiglia, nessuna possibilità di farsi prescrivere un farmaco, incapaci di ottenere un semplice certificato che permetta a vostro figlio di tornare in classe dopo una banale influenza, costretti persino a rinviare la vaccinazione di un neonato. Un incubo vissuto in Italia da mezzo milione di persone, a prescindere dal reddito. Certo, un nesso con i soldi c’è e un benestante difficilmente si troverà in un guaio del genere, ma il vero discrimine non è la busta paga, bensì un buco nero della burocrazia in cui rischia di cadere, ad esempio, uno sfrattato. A decidere del nostro diritto ad essere seguiti da un dottore anche per l’ordinaria amministrazione è la residenza. Senza residenza, niente dottore. Questo dice la legge: chi non ha una casa dove abitare e non può fornire neppure un indirizzo di comodo, pratica che molte amministrazioni comunali in passato hanno adottato per venire in contro alle categorie più disagiate, non può iscriversi ad una Asl e scegliere il medico di base a cui rivolgersi. Il decreto contro l’abusivismo abitativo che porta il nome dell’ex ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi fa infatti della possibilità di dimostrare un indirizzo di residenza il discrimine fra chi ha diritto a un medico e chi no, fra chi può farsi prescrivere un farmaco pagando solo il ticket e chi invece per farlo deve andare al pronto soccorso o pagare un medico privato. Una sciagura, quindi, non solo per chi è colpito direttamente dalla mancanza di una casa, ma anche per l’intero Sistema sanitario nazionale visto che questo esercito di “senza medico di famiglia” si riversa per ogni evenienza sui già congestionati pronto soccorso. Parlare di esercito non è una forzatura. L’ass.difesa consumatori (Adico) ha segnalato che in Italia le persone che si trovano in questa condizione, in base ai dati elaborati dalle organizzazioni che si occupano o rappresentano le principali categorie coinvolte, sono oltre mezzo milione: circa 60 mila sono i senza fissa dimora e circa 100 mila gli abitanti delle occupazioni abusive (una parte dei quali risulta però ancora registrata alla vecchia residenza) a cui bisogna aggiungere oltre 300 mila comunitari (soprattutto romeni) rimasti in Italia malgrado il permesso di lavoro scaduto.