I terreni nei boschi italiani sono da bonificare per legge a seguito della concentrazione di idrocarburi pesanti superiori ai 50 milligrammi per chilo: la causa è la presenza del fogliame, sempre abbandonate in tutti i casi, e nel periodo più naturale che è l’autunno. Lo rivela uno studio condotto da scienziati dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) in collaborazione con un’azienda padovana, la Società estense servizi ambientali. Di questo ha scritto nel magazine dell’ateneo Enrico Costa. La ricerca sarà presentata a Este (Padova) in un evento pubblico su ambiente e contaminazioni al quale sono invitati cittadinanza, studenti e addetti ai lavori (venerdì 15 dicembre alle 14.30, Sala Grande del Chiostro di Santa Maria delle Consolazioni). I ricercatori hanno verificato la presenza di idrocarburi naturali in suoli di aree boschive e in campi agricoli fertilizzati negli ultimi dieci anni con concimi chimici, compost o digestato. È emerso come diversi campioni di terreno contenessero valori importanti di idrocarburi, specialmente quelli provenienti dal bosco, dove sono state riscontrate concentrazioni fino a quattro volte il limite di legge. “La superficie delle foglie è ricoperta da cere che contengono idrocarburi e cadendo li portano nel suolo – spiega Marco Vecchiato, postdoc al Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari – ma anche se la concentrazione risulta superiore al limite di legge, non implica che ciò costituisca un pericolo per la tossicità. ”La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Science and Technology Letters, rappresenta un primo tentativo di analisi di una problematica che riguarda tutela dell’ambiente, metodi di chimica analitica e legislazione ambientale. “I valori e la tipologia di idrocarburi analizzati ne indicano un’origine tipicamente vegetale, anche nei terreni agricoli. La normativa, tuttavia – ha aggiunto il ricercatore – considerando solo un valore totale non distingue tra la presenza naturale di questi composti e gli effettivi casi di contaminazione”. Quali soluzioni? In altri paesi i limiti sono più elevati, ma il vero nodo è quello della qualità del metodo analitico, che deve dare più dettagli senza però diventare troppo oneroso o complicato. Lo studio propone delle alternative, che permetterebbero di distinguere l’impronta degli idrocarburi rilasciati naturalmente (da foglie, funghi o batteri) da quella degli idrocarburi derivati dal petrolio, contaminanti. Il test ha permesso ai ricercatori di distinguere il ‘segnale’ del fogliame da quello di casi di dispersione di diesel o olio minerale. Lo studio, sostenuto da un assegno di ricerca finanziato da Sesa spa, ha avuto come responsabile scientifico Rossano Piazza, docente di Chimica analitica a Ca’ Foscari. Ha collaborato Tiziano Bonato, direttore del laboratorio di analisi di Sesa e studente di ‘dottorato industriale’ in Scienze Ambientali a Ca’ Foscari.

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