Il 12/mo festival internazionale di danza contemporanea della Biennale è in calendario a Venezia dal 22 giugno al primo luglio. E diretto da Marie Chouinard, al suo “secondo capitolo”, offre un ampio spettro in cui si declina la coreografia oggi, evidenziando dinamiche e sviluppi della figura di danzatore e coreografo. A vent’anni dall’antologica delle sue prime creazioni Les Solos 1978-1998, presentata anche alla Biennale nel 1999, Marie Chouinard prosegue l’idea di attingere al proprio repertorio con la sua compagnia (foto). In prima mondiale alla Biennale, Solos et duos (titolo provvisorio) è un’opera retrospettiva di circa trenta assoli e duetti, “una nuova collezione coreografica, una reinterpretazione di queste brevi forme che diventano autonome, ma inscritte in un lungo e profondo processo creativo che si sviluppa per oltre quarant’ anni” (M. Chouinard). Al festival della danza contemporanea è stata annuciata la presenza di Meg Stuart, Leone d’Oro alla carriera e capofila di improvisation projects che hanno marcato la sua attività influenzando numerosi artisti, alla Biennale con la prima italiana di Built to Last; e si vedrà il connubio tra il postmodern di Deborah Hay, antesignana della “controcultura” americana raccolta al Judson Dance Theater, e la perfezione dei danzatori del Cullbergbaletten, massima espressione del balletto moderno, insieme per Figure a Sea, sulla musica di un’altra grande sperimentatrice, Laurie Anderson. Ci sarà il flamenco contemporaneo di Israel Galván, che in FLA.CO.MEN rivitalizza una tradizione secolare che ha nel dna (è figlio di bailaores), senza timore di rivoluzionare gli elementi di una danza fortemente codificata. Ci saranno i “concerti-coreografici” di Frédérick Gravel, con il suo collettivo di attori, danzatori e musicisti, adrenalinici interpreti della prima italiana di Some Hope for the Bastards, esempio dell’inconfondibile fusione di indie rock e danza contemporanea. L’incrocio fra danza, musica e teatro sostanzia anche il lavoro di Jacques Poulin-Denis, compositore e coreografo, che firma Running Piece, opera per danzatore e tapis roulant, in prima europea per la Biennale. Il grado zero della danza è rappresentato da Xavier Le Roy, fra i pionieri dell’anti-coreografia, che spazia dall’operazione concettuale al gesto ironico. Le Roy presenta in prima assoluta Le Sacre du printemps, un assolo diventato quasi di culto che reinventa rifrangendone i gesti fra tre interpreti femminili. Su questa stessa linea opera la danese Mette Ingvartsen, di cui a Venezia si vedrà in prima italiana To come (extended), come performer accanto a Jan Ritsema, Bojana Cvejic, lo stesso Xavier Le Roy, Boris Charmatz. La Ingvartsen è autrice di una “coreografia espansa” fino al punto estremo dell’immaterialità, dove il corpo perde il suo consueto ruolo dominante, si fa oggetto fra gli oggetti. A quest’area coreografica, in cui la sfera percettiva prevale sulla virtù tecnica e la sensazione è elemento chiave, si ascrivono le italiane, con numerose esperienze all’estero, Francesca Foscarini e Irina Baldini. Entrambe sono alla Biennale con un dittico: Vocazione all’asimmetria e Animale, novità assoluta, per Francesca Foscarini; per Irina Baldini 7 ways to begin without knowing where to start, con cui si è rivelata a Biennale College – Coreografi lo scorso anno, e Quite now in prima assoluta. Alla coreografia come esperienza sociale, spazio comune che performer e spettatore modellano insieme si orienta l’opera di Faye Driscoll, già Bessie Award e Doris Duke Artist Award, per la prima volta in Italia con Thank you for Coming: Attendance, capitolo primo di una serie di lavori “fatti per e con il pubblico”. Energia e vitalità espressiva provengono da un altro continente, dalla capoverdiana Marlene Monteiro Freitas, che la Biennale premia come nuovo talento con il Leone d’Argento: Bacchae – Prelude to a Purge, presentato dalla Freitas in prima italiana, è l’originale rilettura del tragico mito euripideo interpretato dai dodici danzatori e i musicisti della sua compagnia.