Playtime di Jacques Tati, Pina di Wim Wenders, Mister Chocolat con Omar Sy e James Thierrée, An Evening of Dance Construction di Simone Forti: sono alcuni titoli del ciclo di film – relativi non solo alla danza, ma anche al movimento, al ritmo, al corpo – in programma al 12. Festival Internazionale di Danza Contemporanea (22 giugno – 1 luglio) della Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta. Scelti dalla direttrice Marie Chouinard, i film – che si potranno vedere ogni pomeriggio nel Giardino della Marceglia all’Arsenale – colgono l’arte della coreografia in ogni espressione umana e offrono sguardi diversi sulla danza e sul mondo artistico, affiancando gli spettacoli in programma. C’è Playtime, capolavoro di Jacques Tati, ovvero Monsieur Hulot catapultato in una Parigi avveniristica, travolto dalla frenesia dei tempi moderni. “Scritto come un balletto”, a detta dello stesso Tati, nel film lo svagato Hulot perde le coordinate spaziali e temporali e in un vortice di azioni simultanee, gag visive ed effetti sonori si ritrova in totale asincronia rispetto all’ambiente che lo circonda, la linea del tempo si spezza e le traiettorie si moltiplicano, si sovrappongono, si annullano. Sempre focalizzato sul linguaggio universale del corpo è anche Le porteur di Dimitri, il grande clown formato al magistero di Etienne Decroux e di Marcel Marceau di cui ha continuato l’illustre tradizione con una propria scuola e una propria compagnia, nonché con il Museo Comico fondato con Harald Szeemann nel Canton Ticino. Ideato nel ’62, Le porteur è la versione filmata di uno dei primi spettacoli di Dimitri, divenuto nel tempo un vero culto, tutto ruotante attorno a una valigia e al suo contenuto che dischiude un mondo fantastico in una girandola di invenzioni, gag, acrobazie, numeri musicali all’insegna dello stupore e della poesia. Nel solco delle comiche del cinema muto, lungo la linea che da Buster Keaton, Max Linder, Charlie Chaplin arriva a Tati, si collocano Dominique Abel e Fiona Gordon, con studi teatrali e circensi alle spalle, autori della commedia umoristico-fantastica La fée, dove si racconta la storia di Dom, guardiano notturno in un albergo. E ancora dal circo al teatro, dall’anonimato alla fama, si svolge l’incredibile destino del clown Chocolat (Omar Sy), il primo artista nero di Francia, immortalato in un quadro di Toulouse-Lautrec e raccontato nell’omonimo film dalla cinepresa di Roschdy Zem.
I film e la storia. Se questi titoli rivelano coreografie insospettate, è un pezzo di storia della danza il film An evening of Dance Construction di Simone Forti: siamo negli anni ’60, i suoi fermenti e i suoi protagonisti, prima la Reuben Gallery di Soho, poi lo studio di Yoko Ono con la musica di La Monte Young, le sculture-oggetto di Robert Morris e cinque pezzi di danza radicalmente nuovi firmati Simone Forti che gettano le basi del post modern incidendo sullo sviluppo delle arti. Oltre a Simone Forti, tanti i ritratti di grandi artiste, il loro percorso di vita intima e creativa, le fragilità, le conquiste, l’affrancamento da regole e convenzioni: Pina di Wim Wenders, film consacrato alla Bausch e al suo ensemble di Wuppertal, un successo mondiale, vincitore di un premio EFA e candidato agli Oscar e ai Bafta; Sur son cheval de feu di Raymond St-Jean dedicato a Louise Lecavalier, icona dei Lalala Human Steps e interprete di acrobazie mozzafiato disegnate da Edward Lock, poi sensibile coreografa in prima persona; Restless Creature di Linda Saffire e Adam Schlesinger che colgono la figura di Wendy Whelan in un momento cruciale, quando lascia il New York City Ballett, dopo quasi trent’anni di carriera come prima ballerina, e dà vita a un proprio progetto affidato a quattro giovani coreografi. Un’altra grande ballerina, Bobbi Jene, e un’altra grande compagnia, la Batsheva Dance Company di Ohad Naharin, ma anche la vita oltre la sala prove, la ricerca della propria indipendenza creativa fra fragilità e determinazione: raccontata da Elvira Lind, Bobbi Jene è premiato al Tribeca Film Festival dello scorso anno come miglior documentario, montaggio e fotografia.
Sul piano del film di finzione è invece Pendular di Julia Murat, presentato alla sezione Panorama della Berlinale 2017: la vita che si intreccia intimamente all’arte attraverso una immaginaria coppia di artisti, lui scultore lei coreografa. Infine, uno spettacolo cult di Marie Chouinard, sacerdotessa della danza dal lessico primitivo e al tempo stesso raffinatissimo, da cui il canale culturale Arte ha tratto l’omonimo film: Body_Remix/Goldberg_Variations, uno spettroscopio del gesto in cui le protesi del corpo – stampelle, corde, imbracature – liberano i movimenti dei danzatori.
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