Alessandro Sciarroni porta a termine il suo trittico: 25 giugno, Aurora (Teatro alle Tese, H 17.00) è una pratica performativa e coreografica che come Turning riflette sul passare del tempo, e che nasce da una riflessione sulla disciplina sportiva del goalball, sport rivolto a non vedenti e ipovedenti. Aurora rappresenta la terza tappa di una trilogia intitolata Will You Still Love Me Tomorrow? insieme a Folk-s e Untitled, un lavoro che porta in scena dei giocolieri. Folk-s, will you still love me tomorrow? (Teatro alle Tese, H 21.30), primo capitolo della trilogia sul tempo, nasce da un’indagine sulla resistenza dei fenomeni popolari alla contemporaneità. Lo spettacolo è una gara di resistenza per danzatori al ritmo della danza popolare dello Schuhplatter tirolese, che letteralmente significa “battitore di scarpe”, e che consiste in un loop di gesti percussivi. In Folk-s, Sciarroni coinvolge direttamente il pubblico nell’atto performativo, così come viene indicato all’inizio dello spettacolo: la danza folk durerà, e potrà esistere, fino a quando ci sarà almeno uno spettatore a guardarla. Così facendo Sciarroni ricorda al pubblico la dimensione condivisa dell’atto spettacolare e ristabilisce un rapporto democratico tra artista e pubblico. Negli spettacoli della belga Lisbeth Gruwez, formata al classico e poi con la compagnia di Jan Fabre, quindi cofondatrice con il musicista Maarten Van Cauwenberghe del gruppo Voetwolk, suono e movimento sono in stretta connessione e sembrano nascere l’uno dall’altro. In We’re pretty fuckin’ far from okay (Tese dei Soppalchi, H 19.00) in prima per l’Italia, la Gruwez mette a fuoco l’ingranaggio della paura fisiologica e psicologica, facendo del corpo una cassa di risonanza delle nostre emozioni più primitive e universali, mentre Maarten Van Cauwenberghe, interprete per Jan Fabre e per Anne Teresa de Keersmaeker, scolpisce un paesaggio sonoro amplificando, sottolineando, distorcendo il respiro dei performer, in dialogo con i loro corpi. Come dice la Gruwez: “We’re pretty fuckin’ far from okay non è un resoconto politico o sociologico sull’ansia nella nostra società, ma mostra ciò che l’esposizione prolungata all’angoscia fa al nostro corpo”. Lo spettacolo è il terzo e ultimo capitolo di un trittico sul corpo estatico, che esplora il vocabolario gestuale dell’irrazionale. Dopo AH/HA, sul potere della risata, e It’s going to get worse and worse, my friend, ispirato ai movimenti dei grandi oratori, la Gruwez si concentra sulla psicofisiologia della paura: il corpo è scosso da tremiti, il respiro si velocizza e aumenta il battito del cuore. Studiando gli effetti dell’istinto della paura sul corpo umano il movimento è ridotto a puro istinto in una danza-trance millimetrica ed essenziale. Il 26 giugno, Dana Michel, STAHVIN MAHVIN in Campo Sant’Agnese, H 11.30. The Co(te)lette Film di Mike Figgis, adattamento cinematografico dello spettacolo di Ann van der Broek, Teatro alle Tese, H 15.00, Incontro: Elisa Guzzo Vaccarino, Teatro alle Tese, H 16.30. Primo appuntamento con la Compagnie Marie Chouinard, In Museum è un’installazione-performance creata nel 2012 per il Museo d’arte contemporanea di Baie-Saint-Paul in Canada riproposta e adattata per la Biennale nello spazio aperto di Campo Sant’Agnese (H 17.00). Questa creazione è stata pensata per svolgersi in uno spazio in cui il pubblico possa muoversi liberamente. Uno spettatore sarà invitato a entrare nello spazio dedicato alla danza e a condividere con il performer un segreto, un desiderio, una speranza. Da questa forma intima di condivisione nasce una risposta personale dell’interprete, una danza libera di una folgorante spontaneità, come un rito sacro affinché il desiderio si realizzi. In Museum è un’esperienza che evolve secondo il ritmo della relazione tra gli spettatori e l’artista. Punteggiato dalle pause tra uno scambio e l’altro con il pubblico, prima di ridare nuovamente forma all’invisibile, questa performance è una sorta di rituale sacro o di esperienza mistica che ci ricorda l’atto della divinazione della Pizia dell’antica Grecia, che come la danzatrice di oggi cerca di incarnare i nostri desideri e svelare tramite il linguaggio coreografico l’indicibile. Biennale College Danzatori: nato per promuovere i talenti offrendo loro di operare a contatto di maestri per la messa a punto di creazioni, Biennale College – Danza presenta quest’anno, all’interno del Festival, l’esito di due percorsi intensivi e strutturati dedicati uno all’arte della coreografia e uno all’arte della danza. Nella prima serata debuttano i 15 giovani danzatori (foto) selezionati per Biennale College – Danza, protagonisti di due titoli (Sale d’Armi A, H 18.00). Il primo pezzo presenta alcuni estratti dal laboratorio durato tre mesi su Sider, recente opera di William Forsythe, trasmessa ai giovani interpreti da alcuni dei danzatori per cui e con cui l’opera fu originariamente creata: Katja Cheraneva, Frances Chiaverini, Josh Johnson, Roberta Mosca, David Kern. Opera dal forte impatto teatrale e di grande complessità strutturale, definita da Forsythe stesso “l’orchestrazione di una polifonia”, in Sider sono i danzatori che scelgono le dinamiche, compongono e scompongono architetture utilizzando grandi pannelli di cartone. Il secondo brano in programma è una nuova creazione di Benoît Lachambre ideata appositamente per loro, esito del laboratorio intitolato That choreographs Us. Pluripremiato artista canadese, Lachambre ha fatto dell’improvvisazione l’asse portante del suo lavoro coreografico, alla ricerca delle radici e dell’autenticità del movimento. Considerata una promessa della danza olandese, interprete con Elisa Monte Co., Galili Dance e Charleroi Dance prima di approdare alla coreografia fondando la compagnia WArdWaRD nel 2000, Ann Van den Broek presenta The Black Piece (Teatro Piccolo Arsenale, H 21.30). Ispirato a un testo sulla storia di questo colore archetipico e carico di simbolismi scritto da Michael Pastoureau, lo spettacolo mette in scena i 5 performer immergendoli in una quasi totale oscurità, inframezzata dai bagliori che la stessa Van den Broek orchestra per segnalare frammenti, presenze, prospettive, lasciando che lo spazio prenda forma attraverso i suoni che lo spettatore percepisce. A moltiplicare le possibilità di lettura sono le immagini live dello spettacolo proiettate dal palco, che interrogano lo spettatore sul labile confine tra quello che vediamo e quello che accade realmente. “In questo nero, sensualmente fisico, pregno di movimento e di fantasie – scrive la coreografa fiamminga – si è condotti dalla voce, dalla telecamera, dai danzatori, passando attraverso il caos dei corpi e chiedendosi se ciò che si vede è reale. Come in una camera oscura immagini e idee si affollano e si associano, interrogando chi guarda”. Lo spettacolo mette insieme diversi linguaggi – teatro, film, danza – per raccontare l’intimità, la sensualità, le contraddizioni del colore nero: il pieno e il vuoto. Una chiave fissa non c’è: tutti i movimenti sono frutto di armonia, sforzo e concentrazione: è appunto la trilogia di Sciarroni.