Sean Godsell, noto e superpremiato architetto australiano a capo dello studio Sean Godsell Architects di Melbourne (nonché ex giocatore di football), è tra i protagonisti del Padiglione della Santa Sede “Vatican Chapels” della 16/ma Biennale Architettura di Venezia, visitabile fino al 25 novembre. Suo è il progetto di una delle dieci cappelle che compongono il padiglione, realizzato, su un ettaro, nella verde cornice dell’isola di San Giorgio, sede della Fondazione Giorgio Cini. A margine dell’inaugurazione, l’architetto, ha visitato il centro di Venezia(foto) e, durante una intervista, ha ripercorso il progetto elaborato per la Santa Sede ed ha raccontato cosa abbia voluto dire per lui progettare “sull’acqua” e utilizzare un materiale come lo zintek®, che è prodotto a Porto Marghera di Venezia. Nei suoi oltre 30 anni di carriera, Sean Godsell ha progettato edifici ai quattro angoli del mondo, affinando sempre più la sua personale visione dell’architettura e di come essa definisca il mondo in cui viviamo. In un’intervista esclusiva rilasciata al blog Zintek, Godsell ha detto di aver forte ammirazione per Le Corbusier al senso dello spazio e del sacro, fino al suo peculiare rapporto con la tecnologia e l’iperconnettività contemporanea. Nel 2002 l’autorevole rivista Wallpaper ha citato Sean Godsell come una delle dieci persone destinate a “cambiare il modo in cui viviamo”. Nel 2003 ha ricevuto una citazione dal presidente dell’American Institute of Architects per il suo lavoro per i senzatetto. L’anno seguente il suo prototipo di Future Shack è stato esposto per sei mesi al Cooper Hewitt Design Museum dello Smithsonian Institute di New York. La rivista Time ha nominato l’architetto nella sezione “Who’s Who – The New Contemporaries” del suo supplemento per lo stile e il design del 2005. Era l’unico australiano e l’unico architetto nel gruppo di sette eminenti designer. Mr Tismith lo ha intervistato in occasione della sua collaborazione per “Vatican Chapels”. La sua architettura spesso si configura come archetipo di rifugio, di protezione da una natura ostile e brutale. Qual è l’ambiente / contesto più stimolante in cui vorrebbe costruire? “Sono felice di lavorare in qualsiasi parte del mondo. Penso che i bravi architetti si adattino alle condizioni locali e progettino di conseguenza. La particolarità del clima australiano condiziona il mio lavoro, ma ciò non vuol dire che non potrei progettare un edificio in Scandinavia ad esempio: sarebbe solo un edificio diverso”. In un’intervista su Archilovers ha stilato una lista delle sue cinque chiese preferite, e le due chiese di epoca contemporanea sono degli anni ’50- ’60 del ‘900, entrambe di Le Corbusier: come immagina sarà l’architettura sacra fra cento anni? “È una domanda interessante. Spesso mi chiedo cosa avrebbe fatto Le Corbusier se fosse ancora vivo e stesse progettando. Abbraccerebbe il mondo digitale? Recentemente abbiamo completato una nuova casa, nota come House on the Coast. Parte della proposta per questo edificio era contemplare l’influenza dello smartphone all’interno della società e più in particolare come lo smartphone comunica il modo in cui progettiamo. Le persone sono così connesse attraverso i loro telefoni che soffrono di una strana forma di ansia se separati da questi anche per un breve periodo di tempo. Questo bizzarro fenomeno è un anatema per l’intera idea di una casa progettata per il fine settimana, in cui il relax e la disconnessione sono solitamente collegati. Paradossalmente, House on the Coast si gestisce attraverso più interfacce digitali. È un dispositivo-casa. Per rispondere alla domanda, penso che la tecnologia personale stia diventando sempre più inestricabilmente legata al modo in cui viviamo, condizionando anche il modo in cui gli architetti progettano”. Come progettare un’architettura “nello spirito umano”, come mantenere vive quelle caratteristiche di misticismo e raccoglimento che prescindono dal tempo? “L’architettura non esiste solo in mattoni e malta. L’architettura esiste nello spirito umano. In determinate circostanze e nelle giuste condizioni, un architetto può organizzare le componenti di un edificio in modo così profondo che ci sentiamo molto più vicini al risultato sul piano intellettuale e spirituale, piuttosto che semplicemente fisico. Nel suo testo fondamentale Vers une architecture, Le Corbusier la descrive in questo modo: “Impieghi pietra, legno e cemento e con questi materiali costruisci case e palazzi; questo è costruire. L’ingegnosità è al lavoro. Ma all’improvviso mi tocchi il cuore, mi fai del bene, sono felice e dico: ‘Questo è bello’, cioè l’architettura. L’arte entra in scena.” Un elemento fondante della sua architettura è l’ecosostenibilità. Quali sono le caratteristiche che ricerca in un materiale per il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente? “Per utilizzare il legno come esempio: nel mio studio usiamo solo legno riciclato. Perché abbattere un albero se non è necessario? Usiamo solo legname da piantagione per lavori strutturali. Il rimboschimento è un sistema fondamentale per proteggere il pianeta e tutti gli architetti dovrebbero sottoscrivere questo modo di pensare. Architettura, pittura e scultura nell’arte sacra sono spesso inserite l’una nell’altra, mentre il progetto Vatican Chapels non prevede iconografie. Questa assenza figurativa la sente come necessaria per il fruire del suo lavoro, o la presenza di un elemento pittorico-scultoreo potrebbe esaltare complessivamente l’opera? Se sì, che opera inserirebbe nella sua cappella? “Nel mio lavoro il figurativo è implicito attraverso l’astrazione. Nel caso delle Vatican Chapels l’ambientazione fornisce una sorta di artificio – Venezia è una costruzione naturale – che integra l’architettura e quindi, in questo caso, qualsiasi iconografia è ridondante. Ho letto la recente biografia di Walter Isaacson su Leonardo Da Vinci durante le vacanze di Natale. Avevo studiato i suoi lavori preparatori a gessetto de La Vergine e il bambino con Sant’Anna e Giovanni Battista all’università, ma ho avuto modo di scoprirlo e apprezzarlo nuovamente mentre leggevo questo bel libro. Quindi, per ora, questo è il mio dipinto religioso preferito”. Come noto con il padiglione “Vatican Chaples” la Santa Sede ha voluto, per la prima volta, partecipare alla Biennale architettura con dieci cappelle costruite nel parco dell’isola di San Giorgio Maggiore da altrettanti architetti provenienti da tutto il mondo. Promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi, coordinato dal Pontificio Consiglio per la Cultura, curato dal prof. Francesco Dal Co e della dott.ssa Micol Forti, il progetto è ispirato alla Cappella del bosco di Gunnar Asplund, costruita nel 1920 nel cimitero di Stoccolma. Dieci architetti di comprovata esperienza e diversa formazione (di Italia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Usa, Australia, Brasile, Giappone, Cile/Servia e Paraguay) hanno realizzato altrettante cappelle, indagando le possibilità offerte dai differenti materiali. Nella progettazione e realizzazione delle strutture è stata riservata attenzione anche alla possibilità di riutilizzare le cappelle dopo l’esposizione, nella tutela e nel rispetto dello spazio naturale circostante. Con una nuova tipologia edilizia, le cappelle, sono identificate come parte di un più vasto spazio religioso e ambiente di culto, come una chiesa o cattedrale, mentre le cappelle a S.Giorgio sono isolate e collocate in un ambiente naturale e astratto – il bosco – metafora del peregrinare della vita. Il messaggio del Vaticano al mondo è: architettura e spiritualità.