Il saldo commerciale del 2016 (dato dalla differenza tra l’export e l’import) dei prodotti ascrivibili al cosiddetto “made in Italy” è stato di ben 122,4 miliardi di euro. Un vero successo delle nostre specializzazioni produttive nel mondo che sono costituite soprattutto da 4 grandi aree merceologiche: l’automazione meccanica, l’abbigliamento-moda, l’arredo-casa e l’alimentare-bevande. Un risultato, quello raggiunto nel 2016, comunque in linea con gli esiti toccati negli ultimi anni. Se nel 2009 il saldo positivo era sceso a 88,4 miliardi, nel 2010 è salito a 92,3 miliardi, nel 2011 a 103,7 miliardi, nel 2012 a 119,5, nel 2013 a 120,2 e nel 2014 a 122,3: un crescendo continuo che ha toccato il picco massimo nel 2015: 122,4 miliardi di euro. Negativo, invece, lo “score” ottenuto dagli “altri prodotti”: computer, chimica- farmaceutica, prodotti metallurgici, tabacco e legno-carta hanno riportato tutti un saldo negativo. Solo gli autoveicoli hanno ottenuto un segno positivo pari a 290 milioni di euro. Nel 2015 l’insieme di tutti gli “altri prodotti” ha registrato un saldo negativo di 28,8 miliardi di euro. Dall’analisi dei singoli comparti manifatturieri del “made in Italy” emerge lo straordinario risultato ottenuto dai macchinari (motori, turbine, pompe, compressori, rubinetteria, utensili, apparecchi da sollevamento, forni, bruciatori, etc.). Nel 2015 il saldo commerciale è stato positivo e pari a 49,8 miliardi di euro. Seguono il tessile-abbigliamento-calzature con 17,6 miliardi, i prodotti in metallo (imballaggi leggeri, fili metallici, catene, molle, bulloneria, bidoni, contenitori in acciaio, etc.) con 11,1 miliardi, i mobili con 7,2 miliardi, gli apparecchi elettrici (lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, lavasciuga, congelatori, accumulatori elettrici, apparecchiature di cablaggio, batterie di pile, generatori, etc.) con 6,5 miliardi e altri materiali non metalliferi (vetro, porcellana, ceramica, refrattari, cemento, etc.) con 6,4 miliardi di euro. “Il nostro made in Italy – ha precisato il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – è prodotto prevalentemente dalle Pmi che grazie alla flessibilità, all’elevata specializzazione produttiva, alla cultura del buon gusto e del saper fare hanno conquistato il mondo in settori, come quello delle macchine, dove la ricerca, l’innovazione e la qualità del ciclo produttivo sono requisiti indispensabili per competere sul mercato”. “Ma l’export – ha aggiunto il segretario della CGIA Renato Mason – non è tutto. E’ sicuramente un indicatore importante, ma il nostro paese per riagganciare la ripresa ha bisogno di rilanciare soprattutto i consumi interni che in questi ultimi anni di crisi economica sono diminuiti di 6,5 punti percentuali. E per fare questo bisogna assolutamente ridurre le tasse sulle famiglie, sulle imprese e ritornare ad investire per allargare la base occupazionale che, rispetto ai principali nostri competitori, è molto più contenuta”. Secondo gli analisti della Cgia c’è un triangolo che galoppa, o meglio corre su una corsia preferenziale, che è formata da imprese attivissime di Milano, Venezia e Bologna. A seguito dei dati positivi ha fatto una dichiarazione il presidente del Veneto Luca Zaia il quale ha detto: “Il mix di identità, qualità, innovazione, tradizione e tecnologia ha portato il Veneto al primo posto nel settore dell’export ‘made in’. Sapevamo che i nostri bravi imprenditori che hanno saputo internazionalizzarsi e muoversi per il mondo senza aiuti da Stato e governi, con sottobraccio esclusivamente il catalogo delle loro eccellenti produzioni, con le loro produzioni e capacità di esportazione avevano sostenuto il Pil e l’occupazione negli anni della Grande crisi dal 2007 a oggi. Ma la CGIA arriva a dirci anche di più: a certificare’ che fra Milano, Bologna e Venezia si è creata un nuovo grande distretto del ‘made in Italy’ del valore di ben 48 miliardi di lire”. “Se questo è il risultato raggiunto dal Veneto – ha precisato Zaia – nonostante un‘total rate tax sulle imprese che supera il 60 per cento contro il 46 medio nella UE, una burocrazia borbonica che lascia costantemente aperto l’’ufficio complicazioni affari semplici’, che fa pagare tasse sulle macchine solo perché imbullonate a terra, che pretende imposte ancor prima che l’imprenditore o il titolare della partita Iva abbia incassato, beh, non voglio pensare a cosa potremmo fare in questa regione se potessimo disporre liberamente delle risorse che il territorio. Non accetto di continuare a guardare con rammarico e impotenza a quante risorse vengono prodotte e messe in circolo ogni giorno da questa straordinaria classe imprenditoriale, da questi lavoratori veneti dalle mani d’oro che sanno sacrificarsi, essere tutt’uno con la propria azienda, essere flessibili prima ancora che lo dicano le leggi (sbagliate) e i soloni che scrivono libri ma non hanno mai visto un capannone, e che, ahimè, vengono sequestrate da Roma, che le usa per regalarle a territori tecnicamente falliti. Oltre che nell’export, il Veneto è già primo in tanti altri settori – ha concluso il presidente – Ma non basta. Bisogna liberare ancora di più risorse ed energie, consolidare produzioni e lavoro perché senza lacci e lacciuoli questa regione può competere con intere nazioni. Ce la faremo, ne sono sicuro, perché questo è quello che vogliono i veneti”.

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