Il 26 febbraio, Parma apre
la nuova stagione dei grandi eventi.
Poi un marzo ricchissimo di originali proposte. Nel mondo dell’arte c’è molta voglia di ripartire. Così musei, fondazioni, sedi espositive programmano l’apertura di nuove mostre, pur sapendo che nuove chiusure possono essere dietro l’angolo ma, proprio per questo, rifiutando di farsi dominare dalla paura.
Ad aprire la fitta serie di mostre da troppo tempo rinviate e di altre di nuova programmazione, è la Nuova Pilotta di Parma. Qui il direttore Simone Verde ha scelto di aprire la pubblico il prossimo 26 febbraio “L’Ottocento e il mito di Correggio”. Intorno ai quattro capolavori del Correggio – La Madonna con la scodella e la Madonna di San Girolamo più le due tele provenienti dalla Cappella del Bono – che con il Secondo Trattato di Parigi nel 1815 vennero restituiti a Parma dal Louvre, la mostra presenta anche il meglio della produzione ottocentesca del Ducato, nell’epoca in cui questo Correggio “secolarizzato” diventa l’eroe della pittura nazionale parmigiana negli antichi saloni dell’Accademia. Qui, grazie all’azione di Paolo Toschi e alla volontà di Maria Luigia, una generazione di artisti si confronta, vis a vis, con Correggio, traendone suggestioni che traguardano nelle loro originali opere, per la prima volta svelate al grande pubblico. La serie delle grandi mostre per il Settimo Centenario Dantesco è aperta dai Musei Civici di Verona, che dal 6 marzo al 3 ottobre, nella sede di Castelvecchio propongono “Michael Mazur. L’Inferno”. Mazur, incisore statunitense tra i maggiori del Novecento, illustra il viaggio di Dante con sconvolgente forza. La sua è una interpretazione “agghiacciante ed indelebile”, decisamente originale, e certamente intimamente sentita. Il percorso all’interno dei gironi infernali è condotto dall’incisore: “l’artista, come nostro Virgilio, vede ciò che Dante ha “visto”, egli annota. Ad emergere da questa esperienza è un audace confronto tra il grande interprete contemporaneo e l’immaginario medievale.
Completamente diverso il racconto di “Quando Gigli, Pavarotti e la Callas..I Teatri Storici del Polesine”, mostra proposta da Fondazione Cariparo dal 13 marzo al 27 giugno in Palazzo Roncale, a Rovigo. Il Polesine fu terra di teatri. Tra Otto e Novecento, ne erano attivi almeno una cinquantina, tutti o quasi dedicati alla musica e al bel canto. Numero stupefacente se si tiene conto di com’erano questi territori al tempo. Per realizzarli e tenerli in attività molti cittadini si autotassavano. Poi difficoltà finanziarie, l’avvento del cinema segnò la loro decadenza. In anni recenti, la rinascita, con il restauro e la ripresa di attività. Nelle stagioni del passato, i pochi denari e la molta competenza hanno spinto i gestori a puntare su cantanti giovani ma di cui intuivano le potenzialità: qui debuttò Beniamino Gigli, qui cantò, appena trentenne, Luciano Pavarotti, e poi Antonio Cotogni, Maria Callas, Renata Tebaldi, Giulietta Simionato… Senza dimenticare Katia Ricciarelli, figlia di queste terre.
A Torino, Camera – Centro Italiano per la Fotografia risponde con una doppietta: “Camera doppia. Horst P. Horst e Lisette Model” e, in parallelo, a Camera project room, “Roberto Gabetti fotografo”.
Horst P. Horst e Lisette Model: genio della fotografia di moda lui, ironica e dissacrante street photographer lei, punti di riferimento nello sviluppo dello specifico genere fotografico ed ispiratori di intere generazioni. Il loro atteggiamento nei confronti dei soggetti ritratti è totalmente opposto: per l’autore tedesco le proprie modelle rappresentano un’eleganza senza tempo, dai richiami classici e dalla bellezza statuaria.(ph  arch.Esseci. Pd)

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