La rivista “Antiquity” dell’Università di Dhuram ha pubblicato un importante articolo, a firma Massimo Vidale del Dipartimento Beni Culturali dell’Università di Padova e Roberto Micheli, archeologo della Soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia, sulle recenti scoperte del progetto ACT – Archaeology, Community, Tourism – nella valle dello Swat in Pakistan. La valle si trova nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa, nel Nord del Pakistan, vicino al confine con l’Afghanistan. Si tratta dello scavo di alcune necropoli megalitiche datate col metodo del radiocarbonio dal 1400 al 900 a.C., lo stesso periodo temporale in cui gli specialisti collocano la diffusione, dall’Asia centrale verso il Subcontinente Indo-Pakistano, delle lingue Indo-Arie, una branca della grande famiglia Indo-Europea. Il team padovano ha scavato le cavità tombali e i resti scheletrici in modo microstratigrafico, cioè prestando attenzione alle più minute variazioni nella composizione del terreno, rivelando non solo complicati riti di riapertura delle tombe per deporre e togliere gli oggetti dei corredi funebri e manipolare le ossa dei defunti, ma anche scoprendo resti di stoffe, canestri e vasi di legno decomposti, mai identificati prima. “Siamo particolarmente soddisfatti dello scavo, delle scoperte che via via si stanno analizzando e delle collaborazioni internazionali che si stanno intessendo – dice Massimo Vidale -. Se per determinare il DNA dei resti ossei l’analisi è stata affidata a David Reich del Department of Genetics della Harvard Medical School, è solo grazie alla microstratigrafia, una “specialità” della Scuola archeologica dell’Università di Padova, che è stato possibile ricostruire nel minimo dettaglio i gesti rituali compiuti da queste antiche popolazioni dell’età del Bronzo durante i loro lunghi funerali. Ancora più affascinante è stato poter accertare sul campo una fonte letteraria storica. Attorno alle tombe sono state scoperte le tracce di recinti e sarcofagi fatti di pali e travi lignee: ciò conferma quanto descritto molti secoli dopo dagli storici dell’impresa di Alessandro Magno, i quali menzionano, nella stessa valle, cimiteri monumentali preesistenti all’arrivo del condottiero macedone e coperti da costruzioni lignee. È qui infatti che il racconto di Quinto Curzio Rufo, nella sua “Storia di Alessandro Magno”, si salda con i dati emersi dallo scavo archeologico. Narra lo storico romano di età imperiale» conclude Massimo Vidale «che i soldati di Alessandro, giunti sul posto in una notte gelida (…) abbatterono degli alberi per accendere dei fuochi che, alimentati dal legname, bruciarono le tombe degli abitanti locali. Costruiti in vecchio legno di cedro, i sepolcri in fiamme diffusero ampiamente l’incendio, fino a che tutti furono carbonizzati al suolo”. Il progetto ACT – Archaeology, Community, Tourism – è diretto da Luca Maria Olivieri dell’ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente ed è uno sviluppo della Missione Archeologica Italiana in Pakistan, fondata dal grande orientalista ed esploratore Giuseppe Tucci nel 1955. Si tratta della più antica missione archeologica Italiana all’estero, ancora pienamente impegnata nell’archeologia di campo in una regione sino a poco tempo fa segnata da una grave crisi bellica. Massimo Vidale effettua ricerche archeologiche in Pakistan dal 1981. Dal 2012 il Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell’arte, della musica e del cinema dell’Università di Padova collabora sul campo con la Missione Archeologica Italiana in attività di ricognizione, scavo e documentazione 3D di manufatti, sculture e monumenti rupestri in collaborazione con Giuseppe Salemi e Michele Cupitò del medesimo Dipartimento patavino. (m.m.)