Fino a fine luglio si sta svolgendo lo scavo per conto di Ca’ Foscari nei Laboratori di via Crimea a Padova che ha qualcosa di speciale: è una delle poche situazioni a livello nazionale in cui è possibile indagare corredi funerari in laboratorio e non sul campo. Si tratta di enormi casse di legno contenenti blocchi che inglobano sepolture preromane (VIII-II sec. a.C.) e che sono oggetto del progetto “Another way of digging” giunto al suo secondo anno di attività, di cui è capofila la professoressa Giovanna Gambacurta, docente di Etruscologia e Archeologia Italica. “Si tratta di materiali provenienti dalle sepolture preromane della necropoli orientale di Padova – ha spiegato la docente nel magazinenews dell’ateneo veneziano – rinvenuti già negli anni 90 in Via Tiepolo e custoditi per anni nel laboratori della Soprintendenza di via Crimea. Sono materiali di grande potenzialità (foto cà Foscari) prima di tutto per la mole di informazioni che ne possiamo trarre, ma anche e soprattutto per gli studenti, perché possono imparare a scavare in un altro modo (“another way of digging”), cioè approcciarsi allo scavo senza l’urgenza dello scavo all’aperto, sottoposto alle diverse condizioni atmosferiche e alla tirannia del tempo, ma in modo mirato, analitico, insomma una situazione ideale per la didattica”. In questi giorni si trovano al lavoro oltre alla professoressa Gambacurta che è stata condirettrice degli scavi degli anni 90 con Angela Ruta Serafini, responsabile della Soprintendenza Archeologica, anche 15 tra studenti, tirocinanti e ricercatori di archeologia di Ca’ Foscari, e 14 studenti del Liceo Fermi in Alternanza Scuola Lavoro che si occupano principalmente della flottazione, operazione che consiste nello setacciare e lavare le terre di rogo. I riti funebri prevedevano infatti di bruciare il corpo su di una pira, le ossa venivano conservate e i resti del rogo conservati con la sepoltura. Rinvenuti ora, essi possono dare una quantità di indicazioni anche di tipo botanico per ricostruire le essenze degli alberi e quindi il paesaggio e la vegetazione del Veneto di allora, oltre ad informazioni su specificità del rituale funerario. Per questo al progetto lavorano anche altre professionalità di settore come Alessandra Forti, paleobotanica e Francesca Bertoldi, paleoantropologa, entrambe di Ca’ Foscari. I ricercatori sono inoltre affiancati dagli esperti della Soprintendenza per prelevare materiali delicati e per i primi interventi di restauro. All’apertura delle casse custodite nel laboratorio, le sorprese non sono mancate: quella che faceva pensare alla sepoltura di un uomo inumato, si è rivelata essere uno scheletro perfettamente conservato di un giovane cane di media taglia. Si trovava adagiato su una specie di barellina, con le zampe ripiegate. Sotto di lui potrebbe esserci un corpo ancora da estrarre, forse quello di un uomo o di un bambino. Le ipotesi sono in corso di formulazione, il tutto potrebbe ricondurre a rituali dedicati alle divinità degli inferi. Sempre nella stessa zona erano stati trovati anche due cavalli inumati ed un palafreniere. “Another way of digging” è uno dei progetti archeologici sostenuti direttamente da Ca’ Foscari attraverso il Fondo di supporto alle attività di ricerca e internazionalizzazione. Si tratta di una ricerca marcatamente interdisciplinare e con una spiccata valenza didattica e partecipativa, i cui dati sono rivolti alla ricostruzione del nucleo sociale della città, tra archeologia della morte o della ritualità funeraria, archeologia di ‘genere’, e ricostruzione dei nuclei familiari, insomma una pagina aperta del libro della storia archeologica della nostra regione ancora da scrivere. All’interno di questo progetto si è svolto l’evento di archeologia pubblica collegato allo scavo – “Sulle tracce dell’uomo alato” che prende il nome dall’immagine, unica in tutto il Veneto preromano, di un uomo alato su un gancio da cintura in bronzo, rinvenuto nella necropoli, forse da ricollegare ad una ‘favola’ o ad un ‘mito’ locale. L’apertura dello scavo al pubblico ha riscosso successo.