Casse di reperti, computer, stazioni topografiche laser, GPS, microscopi, droni, attrezzi di precisione e tanto altro è il materiale ammassato nel laboratorio di archeologia dell’uiversità di Padova che attende la partenza della piccola carovana di auto e furgoni del Dipartimento dei Beni culturali, che scenderanno la penisola per attraversare il Tirreno e approdare infine in Sardegna. Si è alla 28/ma spedizione. È la terra magica “dalle vene d’argento” (per le miniere di metallo) posta tra Africa ed Europa che condivide con la Sicilia e Creta lo statuto di “grande isola” – quasi un continente – nel mezzo del Mediterraneo. La Sardegna antica è, nell’immaginario collettivo, l’isola dei nuraghi, costruzioni megalitiche realizzate tra il 2000 e il 1000 avanti Cristo per dominare un territorio fertile, vasto e variegato. Oltre 7000 sono le torri nuragiche dell’isola, disseminate ovunque e circondate spesso da villaggi che accoglievano popolazioni dedite prevalentemente all’allevamento e all’agricoltura. La loro costruzione con pietre spesso enormi e inamovibili ne hanno garantito una sopravvivenza lunga attraverso i secoli e il ruolo di custodi di un paesaggio immacolato, che nel Settecento e nell’Ottocento i viaggiatori europei immortalarono facendone quasi il simbolo eterno dell’isola. (nella foto di Bo Live di UniPd, veduta aerea degli scavi di Nora).
Ma se i nuraghi e la grande civiltà che li espresse sono l’elemento più forte e connotante di questa terra circondata nel mare, la Sardegna è anche molto altro, proprio per una posizione geografica che la pone tra Italia, Africa e Spagna e che l’ha resa nel tempo il luogo del contatto e dell’interazione culturale tra popoli e civiltà diversi tra loro. Così ha scritto Jacopo Bonetto nel Bo Live, il gionale web dell’ateneo. È questo straordinario archivio di storia di popoli in contatto che ha attirato l’università di Padova quasi trent’anni fa, perché più che in ogni altro posto è qui che il tema storico delle contaminazioni culturali può essere studiato e affrontato con uno sguardo fisso alle identiche e immutabili problematiche di ibridazione tra popoli, attuali nel Mediterraneo mai quanto ora. Il campo di esplorazione è quello dell’antica città di Nora, posta a chiudere il golfo di Cagliari lungo la sua costa sud-occidentale che porta a Capo Teulada. La città, considerata dal geografo greco Pausania il più antico centro urbano di Sardegna, si pone sulla punta estrema di una smilza penisola protesa a mare, dalla quale nelle giornate di luce si scorge da un lato (a est) Capo Carbonara e si immaginano dall’altro (a sud) le coste dell’Africa, che dista appena 180 chilometri. Nora venne dissepolta tra il 1952 e il 1960 dall’illuminato soprintendente Gennaro Pesce e divenne il primo parco archeologico dell’isola, dove affluiscono da allora più di 70.000 visitatori l’anno. Qui dal 1990 una missione archeologica interuniversitaria vede convergere ricercatori di Padova, Milano, Genova e Cagliari, che in piena sinergia con la Soprintendenza di Cagliari hanno ripreso con sistematicità lo studio della città antica. Dal 1990 ad oggi le Università hanno condotto in ogni anno due mesi di scavi archeologici, rilievi e studi e hanno riscritto la storia della città e del territorio: partendo proprio dai nuraghi, simbolo dell’isola, ma andando molto oltre. Proprio in anni recenti i ricercatori di Padova hanno rimesso in luce una struttura nuragica nel centro dell’abitato antico, sepolta sotto gli strati punici e romani. Di anno in anno si capisce sempre meglio che Nora nuragica era inserita in una rete territoriale che venne toccata dal 1200 avanti Cristo da mercanti provenienti da oriente, i greci di Micene che commerciavano in tutto il Mediterraneo. Ceramiche prodotte nel Peloponneso sono state infatti trovate nelle stratigrafie e raccontano di rotte di navigazione che già conoscevano la Sardegna come punto di recupero di materiali naturali preziosi (ferro, argento, stagno, piombo). Ma è la grande epopea dei Fenici che dal 900 avanti Cristo rimette la Sardegna al centro del Mediterraneo. Le indagini nei livelli più profondi condotte tra il 1998 e il 2014 ad oggi hanno identificato un vasto villaggio di capanne costruite con legno e mattoni crudi, dove gli intrepidi navigatori del mare risiedevano stagionalmente per incontrare i popoli nuragici e ottenere i preziosi minerali di metallo di cui è ricca l’isola in cambio dei loro pregiati prodotti artistici orientali. Con i Fenici arriva in Occidente l’alfabeto (che noi ancora usiamo!) e proprio a Nora fu rinvenuto nel Settecento il primo testo scritto del mondo occidentale, la celeberrima “Stele di Nora” che si data tra l’800 e il 700 a.C. Nei santuari dedicati alle divinità fenicie, che proteggevano l’emporio di Nora, gli scavi del 2017 hanno rinvenuto tracce di imponenti strutture e preziosissime lamine decorate di elettro, un miscela di oro e argento, con cui erano decorati i doni votivi fatti alle divinità che “garantivano” lo scambio di merci e conoscenze tecniche tra Fenici e indigeni.
Le indagini in corso dal 3 settembre, che vedono impegnati anche quest’anno per sei settimane oltre 60 studenti, specializzandi e dottorandi, si estendono a molti settori dell’abitato e affrontano un’ampia gamma di problemi storici: un gruppo di ricerca sarà concentrato sulla recentissima (2014) scoperta di una nuova grande necropoli cartaginese realizzata con camere funerarie sotterranee scavate nella roccia. All’interno degli ipogei (sono state recuperate le inumazioni degli aristocratici cartaginesi, che giungono a Nora nel V sec. avanti Cristo, accompagnate da preziosi monili, scarabei, coppe greche, monete. C’è un affresco di Padova trovato a Nora di epoca romana rinvenuto nella “Casa di Favonia”, lugo che sta restituendo da tre anni pitture ad affresco di assoluto pregio con raffigurazioni a soggetto figurato e geometrico. La ricerca negli anni si è costantemente estesa fino a comprendere lo studio della relazione tra l’uomo e l’ambiente in un proficuo dialogo con vari studiosi dell’ambiente naturale (geologi e geomorfologi): in questo campo sono state rilevate e studiate le antiche cave di materiale lapideo da costruzione ed è in corso l’analisi delle oscillazioni storiche del livello del mare, che hanno portato alla sommersione di una parte della città, oggetto così di indagini subacquee da parte dell’équipe padovana in cooperazione con l’ENEA di Roma, il CNR di Oristano e la Soprintendenza di Cagliari. Si è così potuta ricostruire una crescita del mare di quasi 1,5 m dall’età romana che ha prodotto una riduzione drastica della terraferma e del quadro urbano antico.
Da ormai una decina d’anni le varie fasi della ricerca a Nora, come in molti altri siti archeologici, ha conosciuto un processo progressivo di digitalizzazione delle procedure: ogni evidenza di scavo e ogni reperto sono registrati su database on line residenti sui server di Padova, ogni rilievo è ancorato in tre dimensioni a coordinate assolute all’interno di sistemi geografici e la città antica è stata oggetto di recente di una ricostruzione virtuale integrale che ha permesso la visualizzazione dei complessi tramite visori per la realtà virtuale immersiva. Questa forte spinta all’impiego delle tecnologie informatiche ha potenziato la visibilità del sito in termini di valorizzazione, producendo positivi effetti nell’attrattività dei flussi turistici. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha indossato lo scorso anno i visori per la realtà virtuale 3D , durante la visita agli scavi di Nora. Le tecnologie digitali sono però solo uno dei settori complementari alle scienze archeologiche in cui più si è investito. Il Progetto Nora ha infatti anche ricercato fortemente la relazione con tutti i rami delle “scienze dure” per sfruttare i vantaggi della piena interdisciplinarità, oggi considerata la base della metodologia della ricerca archeologica. Ne sono emerse sperimentazioni nei campi delle geoscienze (analisi delle pietre e delle malte impiegate nell’architettura e delle argille impiegate nella produzione di manufatti d’uso quotidiano), della Biologia (analisi polliniche su antichi resti), della fisica (radiocarbonio per la datazione), dell’ingegneria (analisi strutturale) che garantiscono aperture di orizzonti di conoscenza prima insperati. In questo quadro metodologico-operativo e di ampie conoscenze pregresse si avvia la campagna di scavi 2018, di cui saranno resi noti risultati e novità già dalla fine di ottobre. Tutti i rapporti delle attività sono editi dal 2005 sulla rivista scientifica Quaderni Norensi, edita in open access dalla Padova University Press, mentre gli studi di più ampia portata sono progressivamente proposti in volumi monografici della collana “Scavi di Nora”, giunta all’ottavo volume.

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