Il Bo Live, il giornale web dell’ateneo di Padova ha dedicato un servizio (con foto) su una missione archeo nello Swat. Un gruppo di docenti, ricercatori e studenti dell’università di Padova è stato fino al 25 settembre nell’antico Gandhara, in Pakistan settentrionale, nell’ambito di una collaborazione decennale istituita con la Missione archeologica italiana in Pakistan dell’Ismeo, diretta da Luca Maria Olivieri. I lavori si concentrano sulle ceramiche protostoriche dalla necropoli di Aligrama e sui reperti in vetro emersi dai recenti scavi italo-pakistani nel sito di Barikot, l’antica Bazira, nota dalle fonti classiche per essere stata espugnata da Alessandro Magno nel 327 a.C. durante la spedizione verso l’India. Lo scavo di Barikot, diretto da molti anni da Luca Maria Olivieri, sta ormai diventando un punto di riferimento per lo studio dell’urbanesimo antico di età storica in Gandhara. Un foglio bianco, matita, gomma, profilometro e compasso. È questa la dotazione base per il disegno archeologico. Ci vuole occhio e ci vuole tecnica, da perfezionare nel corso degli anni. Disegnare cocci è un lavoro certosino, fatto di pazienza e dedizione. I materiali ceramici rinvenuti ad Aligrama passano uno dopo l’altro nelle mani di Irene Caldana ed Emanuele Lant, i due studenti che si stanno occupando della revisione dei reperti dal sito, sotto la supervisione di Massimo Vidale, docente di Near eastern archaeology a Padova. Aligrama è un sito scavato negli anni Settanta dall’archeologo italiano Sebastiano Tusa: si tratta di un contesto che riveste una grande importanza per la comprensione dello sviluppo storico dell’area. L’età del Bronzo pakistana è nota infatti da alcuni grandi scavi nella valle dell’Indo, su tutti Harappa e Mohenjo-Daro, mentre poco si sa dello Swat tra il XVIII e il XV secolo a.C. circa; con questo lavoro, i ragazzi sperano di dare un contributo alla definizione della sequenza tipo-cronologica per la cosiddetta fase 4, per consentire confronti incrociati anche con reperti fuori contesto o da scavi non stratigrafici. Irene Caldana disegna uno dei grandi vasi da Aligrama conservato al Museo Archeologico di Saidu Sharif. L’elettricità va e viene, nella casa della Missione. Si lavora allo stereoscopio anche durante la notte per documentare gli oltre duecento reperti in vetro e faience conservati presso il Museo Archeologico di Saidu Sharif e i quasi trecento ancora in attesa di catalogazione nella Missione. “Le ricerche sui materiali vetrosi del Pakistan antico sono ancora agli esordi”, dice Ivana Angelini, docente di Georisorse per i Beni culturali e responsabile del progetto La produzione di materiali vetrosi nella valle dello Swat (Pakistan): nuove scoperte da Barikot. “Eppure il vetro offre un contributo fondamentale per lo studio dello sviluppo tecnologico, dei costumi, ma anche dei contatti a lungo raggio e dei flussi commerciali nel mondo antico. Le analisi archeometriche, associate ai dati stratigrafici e allo studio tipologico, possono davvero fare la differenza”. Al progetto ha lavorato anche Cinzia Bettineschi, nell’ambito di un assegno di ricerca stanziato dal dipartimento dei Beni culturali dell’ateneo patavino. Lo studio, come pone in risualto Bo Live, si propone di indagare l’evoluzione delle ricette impiegate per la produzione dei materiali vetrosi e le tecnologie con cui erano lavorati, in modo da costituire una griglia di riferimento per inquadrare i futuri dati analitici dall’area nella stretta sequenza cronologica emersa dagli scavi nel sito di Barikot. Inoltre, queste ricerche consentiranno di apprezzare lo sviluppo diacronico della manifattura dei materiali vetrosi nel sub-continente Indo-Pakistano tra il XV secolo a.C. e il IV secolo d.C. circa, quando esso ancora costituiva nell’area un prodotto di pregio destinato soprattutto all’ornamento personale (vaghi, bracciali e pendenti), con limitatissime testimonianze di uso vascolare, molto diffuso invece in area Mediterranea.Oltre al lavoro di ricerca, numerose sono state le occasioni d’incontro e collaborazione con docenti e ricercatori Pakistani e stranieri, tra cui tra cui Faiz-ur-Rahman, curatore del Museo dello Swat, Amanullah Afridi, rappresentante del Dipartimento di Archeologia, Llewelyn Morgan dell’Università di Oxford e Mubariz Ahmed Rabbani, dottorando all’Università di Reading, nel Regno Unito che sta svolgendo una ricerca su vaghi in vario materiale (terracotta, pietre dure, steatite…) dallo scavo di Barikot in collaborazione con il professor Massimo Vidale, co-tutor della tesi. Una menzione d’onore va poi all’ambasciatore italiano a Islamabad, Stefano Pontecorvo, che ha fatto visita alla Missione dell’ISMEO e osservato da vicino lo svolgimento dei lavori.Il tempo stringe e i materiali tornano a riposare sulle mensole dei magazzini.
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