Scienziati di quattro università italiane: Sapienza di Roma (capogruppo), Bologna, Venezia Ca’ Foscari e Verona, si sono posti l’obiettivo di sviluppare il progetto di ricerca Res Urbis (REsources from URban BIo-waSte) finanziato con 3 milioni di euro dal programma Horizon 2020 della Commissione Europea. Il punto di forza dell’innovazione consiste nello spostare i flussi di rifuto dagli smaltimenti massivi (discarica e incenerimento) e ottenere nuovi prodotti bio ed eco-compatibili ed energia pulita usando gli stessi scarti come risorse rinnovabili alternative al petrolio. Il progetto coinvolge 21 partner tra imprese, associazioni e amministrazioni pubbliche provenienti da 8 Paesi europei ed è già un caso di studio di livello internazionale: è stato selezionato come showcase per la Bioeconomy Week in programma a Bruxelles ( fino al 17 novembre). Inoltre, è stato citato a Ecomondo, in corso a Rimini, come uno dei migliori progetti per fare economia circolare nel comparto acque e rifiuti. “Partendo dalla fase liquida del rifiuto umido raccolto da Contarina – ha spiegato il prof. Paolo Pavan, coordinatore del team cafoscarino che si occupa della gestione dell’impianto pilota, a Treviso – siamo in grado, attraverso fermentazione controllata e batteri selezionati da biomasse miste (fanghi di depurazione), di produrre le ‘materie prime’ per ottenere bioplastiche da utilizzare ad esempio come sacchetti per la raccolta dell’umido, chiudendo così il ciclo e arrivando ad una completa implementazione di una logica di economia circolare”. Gli scienziati dell’ateneo venezinao si occupano anche della messa a punto dei processi e delli risultati legati alle operazioni di downstream, ossia i processi collaterali da gestire per massimizzare le rese complessive. “Ognuno dei 300 milioni di europei che vivono in aree urbane – ha illustrato il coordinatore Mauro Majone, professore di Chimica industriale alla Sapienza – produce in media ogni giorno più di 250 grammi di sostanza organica di scarto, il cui recupero e valorizzazione è attualmente piuttosto limitato; questo rende evidente che il potenziale impatto applicativo di Res Urbis è molto elevato. Le ricadute ambientali, economico e occupazionali che possono derivare dalla messa a punto di tecnologie innovative che consentano la trasformazione di quest’enorme flusso di materiale organico in prodotti utili e con effettivo valore di mercato sono estremamente positive. Allo stesso tempo, il progetto punta a sviluppare tecnologie tali da consentirne l’integrazione con la riqualificazione di impianti tradizionali per la depurazione delle acque e/o il trattamento dei rifiuti”.

 

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