Produrre plastica dai rifiuti organici, l’invenzione a Treviso. Gli scienziati stanno affinando le tecniche per produrre bioplastica dai rifiuti organici e acque reflue. Ma una volta che la buccia di banana decomposta diventa prodotto in commercio, il consumatore è disposto ad acquistarlo?
Se lo sono chiesto i ricercatori del progetto europeo Res-Urbis, dedicato proprio alla trasformazione dei rifiuti in nuovi materiali. Hanno intervistato consumatori statunitensi, spagnoli e polacchi. E’ emersa, più per gli adulti che per i giovani, una disponibilità a pagare un sovrapprezzo per i prodotti ecologici. Tuttavia, difficilmente si comprerebbero occhiali, giocattoli o bottiglie prodotti a partire dall’umido di casa. Su larga scala, il mercato sembra pronto solo per i sacchetti dei rifiuti derivati dai rifiuti stessi. “Così si chiude il cerchio, ma c’è ancora molta strada da fare per una transizione a un’economia circolare – commenta Paolo Pavan, professore di Impianti chimici e responsabile dell’unità dell’Università Ca’ Foscari Venezia nel progetto Res-Urbis – un supporto non indifferente per il successo della tecnologia che proponiamo è dato dai cittadini stessi e dall’approccio virtuoso delle municipalità nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani. C’è bisogno di una stretta cooperazione ed interconnessione tra la società, fatta di cittadini, il mondo della ricerca e la realtà industriale”. L’Università Ca’ Foscari Venezia è protagonista in questa sfida grazie al gruppo di ricerca in ingegneria chimica che da anni realizza i propri esperimenti nei laboratori adiacenti al depuratore di Treviso, di cui la ricerca stessa è stata ispiratrice.Nell’ambito di Res-Urbis,il professor Pavan, in collaborazione con colleghi dell’Università di Verona e dell’Università “La Sapienza” di Roma (ateneo leader del progetto, in particolare con il gruppo di ricerca coordinato dai professor Mauro Majone e Francesco Valentino) ha brevettato un processo per sintetizzare dei polimeri poliesteri biodegradabili (poliidrossialcanoati o PHA) dalla frazione organica del rifiuto solido domestico. Il risultato è stato possibile grazie all’impianto su scala pilota sviluppato nei laboratori di Treviso dal team di Ca’ Foscari e Sapienza. Gli studi condotti dal progetto hanno permesso di estrarre oltre 30 chilogrammi di PHA con una purezza del 95%, testati per la produzione di beni di largo consumo.
In particolare, è parsa molto promettente l’applicazione per la produzione di pellicole adesive composite, cioè costituite da poliidrossialcanoati e altri polimeri biodegradabili. I test svolti su vari prodotti realizzati hanno mostrato una buona resistenza dei materiali e una presenza di contaminanti inferiore ai limiti prescritti per i prodotti considerati. In uno scritto di Enrico Costa di ca’Foscarinews si segnala che i risultati del progetto sono un passo avanti verso una “fine dei rifiuti”: scarti organici e acque reflue possono garantire materie prime di valore per produrre materiali a loro volta biodegradabili destinati a rimanere in circolo in un’economia che non spreca nulla. Una bioraffineria dedicata a questa produzione è sostenibile sia per l’ambiente che economicamente, concludono i ricercatori. Il confronto con gli addetti i lavori in 13 paesi europei ha gettato le basi per la futura trasformazione dei risultati del progetto in nuove opportunità di servizi e business legati alla valorizzazione dei rifiuti con la produzione di bioplastiche. (il ricercatore Francesco Valentino della Sapienza nei laboratori pilota di Treviso. Pf di Andrea Avezzu’)

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