A venti anni dall’ultima messinscena veneziana, l’opera verdiana “Un ballo in maschera” ha inaugurato la stagione lirica e balletto 2017-2018 del Teatro La Fenice; a guidare l’orchestra e il coro è stato il pluripremiato maestro coreano Myung-Whun Chung. Tra gli interpreti principali: il tenore Francesco Meli (nel ruolo di Riccardo), il baritono Vladimir Stoyanov (Renato), il soprano Kristin Lewis (Amelia). L’evento è stato trasmesso da RaiTre. Gli applausi del pubblico sono stati ripetuti. Altre repliche il 26 e 29 novembre e l’ 1 e 3 dicembre. In teatro c’è stato il pubblico delle grandi occasioni. Il nuovo sovrintendente Fortunato Ortombina ha detto che si è trattato di un evento e un traguardo importante per tutta Venezia. Prima della andata in scena dell’opera c’è stato un fuori programma, ispirato a “Senso” di Luchino Visconti, con la distribuzione di volantini di protesta del Gruppo 25 aprile, però non recanti il patriottismo “Viva Verdi”, ma il messaggio “basta alberghi. Venezia vuole vivere”. La genesi del Ballo in maschera risale al 1857, quando il Teatro San Carlo di Napoli avviò dei contatti con Giuseppe Verdi per un’opera da rappresentare nel carnevale dell’anno successivo. Verdi propose un soggetto che s’ispirava a un fatto storico accaduto nel 1792: l’omicidio del monarca svedese Gustavo III, perpetrato da un cortigiano durante un ballo. La censura napoletana non volle accettare di vedere sulle scene l’omicidio d’un re. Cosicchè Verdi abbandonò l’impresa dopo varie critiche e inviti a rivedere buona parte dell’opera. Il grande maestro di Busseto per presentare al pubblico la sua nuova fatica dovette attendere un’occasione più favorevole: l’opera esordì il 17 febbraio 1859 al Teatro Apollo di Roma e il pubblico ne decretò il successo che dura ancora. Per il maestro concertatore coreano “Il Ballo in maschera è un insieme di diamanti che brillano. Ognuno dei personaggi è un gioiello, ci troviamo di fronte a tanti gioielli circondati da una musica particolarmente brillante. Non conosco un altro titolo di Verdi che lo sia altrettanto. È davvero un ballo, una festa musicale con una brillantezza che non ritrovo normalmente in Verdi. Anche nella Traviata ci sono momenti del genere, ma non tutta l’opera ne è pervasa”. Per il regista Gianmaria Aliverta ” la mia idea scenica parte dal fatto che sia la politica a generare gli avvenimenti che portano alla catastrofe finale. Antonio Somma, per assecondare le esigenze della censura trasponendo la trama in America, introduce diversi personaggi di colore o creoli: questo elemento non può che richiamare alla mente il problema della schiavitù e le condizioni della popolazione nera americana. Per enfatizzare quest’aspetto ho pensato di ambientare l’opera non nel periodo previsto dagli autori, una Boston della fine del Seicento, ma all’epoca in cui è stata composta, cioè la seconda metà dell’Ottocento, e per essere più precisi il ventennio che va dal 1867 al 1887. Siamo alla fine della guerra di Secessione, quando è stato già approvato il XIII emendamento, con il quale la schiavitù viene abolita per sempre”. Parole di apprezzamento per questa inaugurazione del “Ballo” anche da Peter Gloystein, presidente dell’associazione degli amici tedeschi della Fenice: “si tratta di una rilettura coerente che affascina molto lo spettatore”.