Si investe nell’olio extravergine di oliva aumentando l’offerta di prodotto di qualità, 100% italiano e dop, ma contestualmente cresce l’indecisione dei consumatori, che percepiscono il valore della differenza, ma non hanno ancora abbastanza conoscenze che li supportino al momento della scelta. Una ‘indecisione positiva’, che porta il 59% di loro a rimanere davanti agli scaffali prima di prendere una decisione da 2 a 5 minuti, mentre nel 2008 questa percentuale era del 33%; solo il 34% decide in un minuto, contro il 56% di 10 anni fa. A dirlo un’indagine di Ismea presentata a Sol&Agrifod durante il talkshow “Evoluzioni del gusto: punti di vista sul consumatore di olio di oggi e domani”, dalla quale emerge che esiste ancora un gap tra informazione fornita e richieste dei consumatori, interessati – soprattutto tra i più giovani – ad approfondire aspetti quali gusto, territorialità e abbinamenti gourmet degli oli, percorrendo una strada che si è dimostrata vincente per il vino. La fascia su cui maggiormente puntare è quella dei millennians che, proprio come nel vino, saranno quelli che condizioneranno il mercato nei prossimi anni. La richiesta è per avere più informazioni in etichetta e per una comunicazione che trasmetta il valore intrinseco dei vari prodotti, con gli oli 100% italiano in cima alla lista delle preferenze, tanto da aver incrementato la presenza nella gdo dal 13,3 al 26,6% in 10 anni, seguiti a ruota dagli oli territoriali, cioè Dop-Igp, passati dal 10,6 al 12,9%. L’Italia, però, non ha abbastanza olio per coprire la propria domanda interna. I dati presentati da Ismea evidenziano che pur essendo il secondo produttore a livello globale con il 15% della produzione mondiale, il nostro Paese ha un indice di autoapprovvigionamento (produzione/consumi) che oscilla tra il 35 e l’85% a seconda dell’andamento produttivo (molto scarso negli ultimi anni e ancora al di sotto della media produttiva nella campagna in corso, ma con un trend fortemente in riduzione negli ultimi 10 anni). Nello scenario internazionale, siamo anche il primo mercato di consumo, il primo importatore e il secondo esportatore con una quota del 20% del mercato contro il 60% della Spagna, e una bilancia commerciale in rosso. Nonostante la tradizione italiana e le 42 dop e le 4 Igp (pari al 40% di tutti gli oli a indicazione geografica riconosciuti dall’Ue e al 2-3% della produzione italiana con il 6% in termini di valore), solo il 37% delle 820.000 aziende produttrici può essere considerata competitiva.