Matteo Fenza ed il suo relatore di tesi il prof. Franco Viviani, hanno svolto un esperimento su come i bias cognitivi possano influire anche sulle prestazioni sportive. Persuadere infatti, significa influenzare la mente dell’interlocutore e nello sport professionistico, dove il dettaglio può fare la differenza, questa tecnica può diventare di fondamentale importanza in termini di performance. Su questo argomento ha trattato un servizio-intervista RadioBue dell’ateneo di Padova. “È un percorso nato due anni fa quando con il prof. Viviani, ad un corso di antropologia per le scienze motorie, abbiamo affrontato il tema dei bias cognitivi – ha dichiarato Fenza ai microfoni -. I trabocchetti cognitivi sono fondamentalmente delle alterazioni del pensiero, per cui non ragioniamo più per una logica razionale ma piuttosto secondo delle prospettive diverse, ragioniamo traviati dalla nostro stesso pensiero. Abbiamo preso 90 tennisti – ha continuato il laureato in Scienze Motorie all’Università di Padova -, tutti agonisti di seconda terza e quarta categoria. Li abbiamo divisi in due gruppi: a 45 di questi abbiamo fornito due racchette identiche a cui però variavano le corde, queste due corde erano differenti per prezzo e qualità. Gli abbiamo chiesto di provarle e poi gli abbiamo fornito un questionario in cui le corde erano descritte in modo contrario rispetto alle loro caratteristiche. Alla fine abbiamo riscontrato che il gruppo che abbiamo cercato di persuadere con queste informazioni fittizie, effettivamente c’è cascato in proporzioni invertite rispetto al loro livello di prestazione, cioè i giocatori più forti cadevano un po’ meno nel tranello, ma ci cadevano comunque”. Matteo Fenza, oltre all’aiuto del prof. Viviani, ha trovato anche una spalla inattesa durante il suo percorso: il blogger Marco Montemagno. “Montemagno ha collaborato perché io seguo il suo canale – ha precisato Fenza – , gli ho accennato quello di cui parlava la mia tesi ed una settimana dopo lui ha pubblicato un video intitolato come i trabocchetti cognitivi possono alterare le prestazioni, in cui confermava che non si tratta di un effetto placebo ma un vero e proprio priming, cioè si pongono delle condizioni a monte per cui poi ci sono delle reali ripercussioni a valle”.