Le coltivazioni di grano duro si fanno notare anche in Veneto – è detto in una nota di Coldiretti – che registra una superficie di oltre 11 mila ettari pari ad un fatturato che si aggira intorno ai 28 milioni di euro. L’interesse per la semina di questo cereale è aumentato, merito anche di imprenditori locali che fanno scelte virtuose, come Pierantonio Sgambaro, dell’omonimo pastificio trevigiano, che da sempre pratica accordi di filiera con gli agricoltori per una produzione tutta italiana, la prima riconosciuta a kmzero, rispettosa dell’ambiente e del diritto al lavoro di centinaia di operatori agricoli. Dalla Puglia la sua attenzione si è spostata a Nord Est, in quello che viene ora definito il “granaio padano” in quanto le variazioni climatiche hanno spostato nel territorio emiliano, friulano e veneto le varietà selezionate di frumento che danno notevoli performance in termini di qualità e quantitativi. Ma anche in Veneto, le importazioni dall’estero e le speculazioni di mercato fanno crollare il prezzo del grano su valori inferiori a quelli di 30 anni fa, basti pensare che rispetto all’anno scorso il prodotto, nello stesso periodo, ha perso 10 punti al quintale. Le quotazioni dei prodotti agricoli – sottolinea la Coldiretti – dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre piu’ dai movimenti finanziari e dalle strategie speculative che trovano nel Chicago Board of Trade il punto di riferimento del commercio mondiale delle materie prime agricole su cui chiunque puo’ investire anche con contratti derivati. Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta – ha aggiunto la Coldiretti – viene pagato anche 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. In pericolo – precisa la Coldiretti – non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano ma anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy. Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera piu’ rappresentativa del Made in Italy mentre – denuncia la Coldiretti – dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%.Per Coldiretti dai campi agli scaffali ci sono dunque margini da recuperare per non far chiudere le aziende agricole e non pesare su un sistema produttivo che ha bisogno del Made in Italy per essere credibile sui mercati nazionali ed esteri: occorre investire nella programmazione strutturale per non perdere definitivamente il patrimonio di qualità e biodiversità dei grani italiani che rappresenta il un valore aggiunto della produzione nazionale.L’Italia è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta, che assume un’importanza rilevante data l’elevata superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari per oltre 4,9 milioni di tonnellate di produzione che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale. Più limitata – conclude la Coldiretti – è la produzione del grano tenero che si attesta su 3 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari.